Bologna, 16 maggio 2022 - "La prima volta che sono entrata a una riunione per familiari di alcolisti anonimi mi hanno chiesto: ‘Come stai?’ Per anni mi avevano sempre e solo domandato come stesse mio marito. Ero così sorpresa da non saper rispondere". Ma adesso Beatrice (il nome è di fantasia) sa cosa dire: "Ho imparato di nuovo a mettere al centro me stessa, a ricostruirmi una vita. Perché l’alcolismo è una malattia di famiglia: l’alcol, in una casa, stravolge anche la vita di chi non beve".
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A Bologna , i gruppi Al-Anon esistono dal 1977. E, parallelamente, sono nati quelli per i familiari degli alcolisti e anche per i loro figli. "Mia figlia per tanti anni ha frequentato questi gruppi e ora va nelle scuole a raccontare la sua esperienza – racconta ancora Beatrice –. I bambini già a 4-5 anni iniziano a capire se c’è un problema in famiglia. Per questo anche per loro c’è un gruppo, si chiama Alateen: i bimbi piccolini giocano; gli adolescenti, invece, si trovano in gruppo come gli adulti. Parlano di loro, tra loro. Senza alcuna interferenza esterna. Due adulti ci sono, solo perché si tratta di minorenni. Ma non partecipano al gruppo in alcun modo".
I gruppi Al-Anon, quelli per i loro familiari e quelli per i figli sono mondi paralleli, che non si incrociano mai, se non a casa, dove riportano il beneficio dello scambio con altri nella stessa situazione. "Il gruppo degli alcolisti si incontra nella stanza di fronte a quella dei familiari – dice Beatrice –. Ma quello che si dice in ciascuna stanza, lì rimane. Anche se a frequentare i diversi gruppi sono marito e moglie, mai riporteranno quello che gli altri partecipanti agli incontri dicono. Sono regole non scritte, ma basilari, che condividiamo".
In città i gruppi per alcolisti anonimi, come spiega Bruno (anche in questo caso il nome è di fantasia) sono cinque, "frequentati al massimo da 15 persone ciascuno. Alcuni si riuniscono tre volte a settimana, altri due, altri ancora una volta sola". Bruno ha iniziato a frequentarli nel 2004: "Diciotto anni. E da diciotto anni non tocco più un goccio di alcol. Ero arrivato alla condizione di vivere per bere e bere per vivere. Non mi lavavo neppure più, puzzavo. Quando sono entrato per la prima volta in un gruppo sono rimasto sorpreso: pensavo di trovarmi di fronte persone che, come me, soffrivano nel disagio. Invece erano tutti belli, puliti. E sorridenti".
Il principio dei gruppi, sia per familiari che per alcolisti, sta nello scambio alla pari: "Nessuno guida il gruppo, nessuno interrompe l’altro. Non si parla di alcol, o meglio, non necessariamente. Si sceglie un tema e si affronta. Ma, in generale, ognuno dice ciò che si sente, che ha bisogno, in quel momento, di raccontare", spiega Bruno.
Ma come ci si avvicina a queste realtà? "Tramite internet, tramite il passaparola – dice Beatrice –. Quando mio marito ha iniziato a frequentare il gruppo per alcolisti, io non sapevo esistesse anche un gruppo per familiari. All’inizio molti si avvicinano per controllare se il proprio familiare frequenta gli incontri. Poi si continua perché fa bene. Si lascia perdere il controllo, si capisce che bisogna rimettere al centro se stessi, che se la propria vita torna in asse, allora si riesce meglio ad aiutare il proprio caro. Mio marito non beve più da anni, la nostra vita è tornata normale. Mia figlia ha affrontato come noi questo percorso, suo fratello ha preferito di no. Adesso siamo nonni di tre bimbi. E siamo felici. Se potessi, griderei a tutti quelli che stanno vivendo la stessa situazione che ho vissuto io che c’è un modo per aiutarsi, che la mia esperienza è stata, ed è, bellissima. Vado a dirlo nelle scuole, anche per superare un pregiudizio: l’alcolismo non è un vizio. È una malattia e come tale va affrontata".