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"Ad Astra, tutto il cinema di Bologna" Celso Valli e quelle sale di una volta

Stasera nel giardino della Lyda Borelli il compositore racconta la giovinezza da spettatore e i film che lo hanno ispirato "Lì ci fu l’infatuazione per le colonne sonore di Ennio Morricone. Il Modernissimo? Era il ritrovo degli orchestrali".

"Ad Astra, tutto il cinema di Bologna" Celso Valli e quelle sale di una volta

I cinema di via Rizzoli – perché ce n’era più di uno – l’omino dei lupini, le colonne sonore di Ennio Morricone, la sfilata dei ricchi. Celso Valli, classe 1950, compositore, arrangiatore (Anche un uomo di Mina, Canzoni stonate di Gianni Morandi, Self Control di Raf, Come Saprei di Giorgia, Quante Volte e Se ti potessi dire di Vasco, per citarne una piccolissima parte) e produttore discografico dai natali bolognesi, è stato un precocissimo innamorato del cinema. Un racconto di una Bologna da "c’era una volta", senza troppa nostalgia però, per la curata rassegna di incontri nel giardino della casa di riposo Lyda Borelli in via Saragozza, dove arriverà questa sera, preceduto da Gian Luca Farinelli. Si parla di magia del cinema e Valli la porta da sempre nel cuore.

Celso Valli questa sera racconterà il suo amore per il cinema. Quando nacque?

"Vorrei raccontare la mia esperienza di giovane spettatore. Ricordo che le sale, quando ero bambino, negli anni Sessanta, erano delle cattedrali. Giravo in centro e le vedevo: l’Astra, il Manzoni, il Jolly, l’Arena del Sole, il Fulgor. E proprio al cinema nacque l’amore per le colonne sonore, in particolare per Ennio Morricone; l’ho ascoltato per la prima volta in Per un pugno di dollari di Sergio Leone".

Chi l’ha portata al cinema la prima volta?

"Fu a una prima visione, immagino sia stato proprio mio padre Antonio, che mi iniziò a questa magia, e giusto per sottolineare quanto io amassi andare al cinema, ricordo che per Natale mi regalò tutte le prime visioni dei cinema del centro, ogni giorno andavamo a vedere un film…. Topkapi, Vincitori e vinti, Il maestro di Vigevano con Alberto Sordi. L’importante era entrare in un cinema, dove c’era il buio della sala, la gente, i ricchi; mi facevo dei viaggi, avevo quell’immaginazione di bambino. E ricordo anche un cinema come l’Astra, dove non sono mai entrato: davano Il ponte sul fiume Kwai.

Dov’era l’Astra?

"In via Rizzoli, dove poi aprirono la Standa. Poco dopo c’era il Centrale, che poi diventò il Royal a luci rosse, e poco più avanti il Modernissimo".

C’era un genere che le piaceva in particolare?

"I film antologici che davano al Modernissimo, come Maciste nella valle dei re, e poi i film di guerra. Ricordo ancora Fantasia al Fulgor, splendido".

Modernissimo: ha detto la parola sulla bocca di tutti i bolognesi, che attendono la sua apertura. Come lo ricorda?

"Non molti sanno che era il ritrovo degli orchestrali che si vedevano davanti al cinema all’ora dell’aperitivo, prima del pranzo. Naturalmente ci andavo come figlio di un musicista: mio padre era infatti un fisarmonicista".

Quando è diventato adulto ha mantenuto la passione?

"Fino a che non mi sono sposato, ed ero quindi un giovane scapolo, la giornata ideale consisteva nell’andare al bar del Rosso in via Augusto Righi, guardare il Giroscopio, scegliere il film, partire in macchina – cosa che allora si poteva fare, e si trovava perfino parcheggio – e poi cinema e pizza. Poi quel bar è diventato la mia casa da musicista, perché ’la scena’ si ritrovava lì".

Benedetta Cucci