
di Francesco Zuppiroli
Il mito dello Scorpione dello storico marchio Abarth inizia nel 1949. Il 31 marzo, davanti al notaio Aloisi di Bologna, dall’accordo fra Carlo Abarth e l’imprenditore bolognese Armando Scagliarini si costituì dalle ceneri del reparto corse di Cisitalia la Abarth & C. Srl, sedi in via don Minzoni e a Torino. Una storia nata e cresciuta sotto il segno dello Scorpione, segno zodiacale di Carlo Abarth, con i colori giallo e rosso della città di Merano, da cui la sua famiglia proveniva. Un percorso avviato con la produzione di marmitte per auto e continuato "nelle corse dal 1957, sfruttando l’insuccesso della Fiat 500".
A raccontare è Renato Donati, fra i maggiori appassionati ed esperti del marchio dello Scorpione che – dopo il libro edito nel 2017 Abarth Gran Turismo da corsa – è in libreria con Abarth Sport e Prototipi 1949-1971. Un’impresa mastodontica che riassume foto e descrizioni di 39 modelli che dagli anni Cinquanta ai primi anni Settanta (nel 1971 l’Abarth venne acquistata da Fiat) segnarono le competizioni automobilistiche, tenendo testa a case blasonate come Porsche e Ferrari.
"È il prosieguo di una leggenda – continua Donati, 80 anni, pilota e collezionista di Abarth – iniziata sfruttando l’insuccesso della 500 Fiat, macchina con solo 13 cavalli e una velocità massima di 70 chilometri orari".
Nel 1958 Abarth "notò il potenziale di quest’auto e intervenendo sui modelli ne migliorò le prestazioni in pista. L’allora direttore generale di Fiat Vittorio Valletta notò questi interventi e stipulò con Abarth un accordo: in ogni gara in cui il marchio dello Scorpione avrebbe vinto, Fiat si impegnava a corrispondere un tot alla Abarth".
L’accordo presto iniziò a risultare ‘svantaggioso’: "Le scrivanie Fiat erano subissate da telefax che riportavano i successi della Abarth in tutte le categorie. A eccezione dei campionati assoluti, dove la potenza di fuoco di Porsche e Ferrari era insostenibile" continua Donati.
Queste le memorie di un passato glorioso nelle "continue competizioni che si tenevano all’Autodromo di Imola: la ‘500 chilometri’ per fare un esempio". Ma in quegli anni, "quando il circuito era ancora un tratto cittadino, non c’era categoria in cui la Abarth non la facesse da padrona, con corse ‘al coltello’ lungo le curve dell’Autodromo".
Pagine memorabili riportate nel libro, ricco di immagini (Actualfoto, di Roberto Piccinini), edito da Giorgio Nada, in cui Donati ricorda anche "i tanti piloti emiliano-romagnoli che hanno corso e vinto con Abarth. I bolognesi Vittorio Venturi, Anzio Zucchi, a Mario Casoni di Finale Emilia e Dino Govoni di Cento di Ferrara, fino a Tazio Nuvolari e Arturo Merzario. E le manifestazioni e corse bolognesi fuori dall’Autodromo, come la storica Bologna-Raticosa. Lo Scorpione ha segnato un’epoca, con modelli e prototipi senza eguali".