Bologna, 22 novembre 2024 – "Se non doni questi soldi, il demonio si vendicherà". E ancora: "Dio ti ha salvato la vita, ora devi fare la tua parte". Sarebbero state di questo tenore le minacce con cui i due dirigenti dell’associazione comunità per donne maltrattate Santa Maria della Venenta Odv di Argelato (che ora si chiama Santa Maria della Vita Odv) avrebbero convinto una ragazza poco più che ventenne e in quel momento molto fragile, perché affetta da disturbo post traumatico da stress dopo essere sopravvissuta a un gravissimo incidente stradale, a donare alla comunità (e alla cooperativa sociale connessa, che però si è detta ignara delle dinamiche coercitive e si è impegnata a restituire la somma) 750mila euro.
In poco più di un mese. A un’anziana invece, oggi quasi novantenne e allora in lutto per la recente morte del figlio e affetta da Long Covid, una sola degli imputati avrebbe "carpito" 210mila euro, pare con la promessa, non mantenuta, di realizzare una struttura in nome del suo figlio perduto. Le due parti civili sono assistite dagli avvocati Giacomo Nanni e Francesco Calcatelli.
Ora, a processo davanti alla giudice Ines Rigoli sono finiti Enzo Guermandi, trentottenne bolognese figlio di un fondatore della comunità mancato qualche anno fa, e la vedova di quest’ultimo, Rossella Gamberini, 67 anni.
I due imputati sono chiamati a rispondere di circonvenzione d’incapace e di impiego di denaro di provenienza illecita, poiché, per l’accusa, avrebbero impegnato i soldi delle donazioni delle due presunte vittime per scopi privati, per esempio estinguendovi alcuni loro debiti o acquistando dei flipper per una sala giochi allestita nei locali di pertinenza della comunità. Ma i due, difesi dall’avvocato Stefano Bordoni, respingono le accuse. Non sono state emesse misure a loro carico.
L’inchiesta si è aperta nei primi mesi del 2022, dopo la denuncia della 26enne. Poi, le indagini della Procura e dei carabinieri hanno portato alla luce anche il secondo caso, molto simile e avvenuto più o meno nello stesso periodo, relativo all’anziana.
Secondo il racconto della ragazza, i due imputati avrebbero fatto leva sul suo sentimento religioso (la comunità operava infatti "attraverso i valori cristiani") e sul trauma dell’incidente subìto per ottenere da lei le ingenti somme di denaro, in parte ricavate dal risarcimento che le era spettato per i gravissimi danni riportati nel sinistro e dalla vendita, a prezzo pure sconveniente, di un immobile di sua proprietà in centro.
Lo stesso trattamento sarebbe stato riservato all’anziana madre in lutto, convinta con minacce e suggestioni. Le due parti offese, secondo psichiatri nominati dalla Procura, erano in quel momento delle loro vite "circonvenibili"; le consulenze non sono però state ammesse nel processo.