
Lucio Corsi è arrivato secondo a Sanremo con ’Vorrei essere un duro’: ora dà il via al tour live nei locali
Grande attesa "alla stazione di Bolo" per il ritorno di Lucio Corsi, in scena domani sera sul palco di un Estragon esaurito già da tempo. Il primo approdo cittadino di un tour che il 25 giugno riporta il cantautore maremmano al Sequoie Music Park, per poi proseguire il cammino tutta l’estate con tappe il 24 luglio pure al Mind Festival di Montecorsaro (Macerata) e il 30 agosto all’Acieloaperto Festival di San Mauro Pascoli. Tutto, naturalmente, dopo aver rappresentato a maggio l’Italia davanti alle telecamere dll’Eurovision Song Contest di Basilea.
"Ho sempre inseguito le chitarre in fuga dalle custodie, i pianoforti scappati dalle case, le armoniche soffiate dal vento…" scherza l’ex ragazzo di Val di Campo di Vetulonia, 31 anni, senza rinunciare a quell’allure favolistica che ne caratterizza il personaggio. "Correre dietro alle canzoni di città in città è senza dubbio ciò che amo fare di più, la cosa che sognavo fin da bambino. Salire sul palcoscenico vuol dire incontrare la musica, come dice Paolo Conte in ‘Alle prese con una verde milonga’. E ogni palco diventa per davvero una specie di trampolino sospeso su un’altra realtà, l’asse su cui immaginare di essere qualcos’altro".
Senza mai abbandonare del tutto, però, i panni di Lucio come ricorda quella ’Vorrei essere un duro’ – secondo posto a Sanremo (per un soffio, visto lo striminzitissimo 0,40% di preferenze che alla fine l’ha separato del vincitore Olly) e Premio della Critica ’Mia Martini’ – accompagnata sul web dal videoclip ispirato a quello di ’Black or white’ di Michael Jackson e impreziosito dalla esilarante partecipazione di Leonardo Pieraccioni col clergyman del prete-esorcista. "Non sono uno che al pubblico racconta frottole – assicura Corsi –. Per questo all’Eurovision andremo come abbiamo fatto al Festival, come siamo noi in questo momento della nostra vita, che è quello che m’interessa veramente".
Qualche parola in più la spende su questi concerti nei club, dove presenta gran parte del suo quarto album, scritto con quel Tommaso Ottomano che ne ha curato pure la produzione assieme a lui e ad Antonio ’Cuper’ Cupertino. "Abbiamo puntato su un approccio live molto rock’n’roll, tutto riarrangiato con la mia solita formazione, quella con cui suono dai tempi del liceo. Saremo in 7, con tante chitarre ma pure organo, batteria e i cori. Io mi alternerò fra chitarra elettrica, acustica, pianoforte e armonica. Questa è la linea da seguire: avere un sacco di strumenti e stare in giro a suonare il più possibile e spero tanto di continuare così anche dopo l’estate".
Tutti concerti con l’impronta di quegli Anni ’70 che rimangono per lui un imprescindibile riferimento artistico e iconografico. "Sul palco avrò anche le mie spie, che preferisco agli in-ear perché l’esibizione live vive di aria, non del tapparsi ognuno nella propria bolla, dove non senti niente se non la musica che i tecnici ti sparano nelle orecchie. Anche quando vado a un concerto voglio vedere e sentire qualcosa di diverso da un album che posso ascoltarmi a casa. I live che amo sono fatti in questo modo, con musica che gira nell’aria, e se le spie che ho davanti ai piedi si mettono improvvisamente a fischiare va bene lo stesso, aggiungendo una punta d’imprevedibilità in più a quel che stai facendo".