LORELLA BOLELLI
Cosa Fare

Dire Straits Legacy a Bologna. "Siamo gli eredi di Mark Knopfler"

Il 5 dicembre all'Europauditorium l’ultima tappa del tour italiano dopo i trionfi in Nord e Sudamerica

I Dire Straits Legacy saranno a Bologna il 5 dicembre: in formazione molti dei componenti della formazione originaria

Bologna, 28 novembre 2018 - In Sudamerica dove Mark Knopfler non portò mai la sua band, l’arrivo dei Dire Straits Legacy è stato accolto con il calore che si riserva ai gruppi di culto. «Del resto siamo lo spin off di quel gruppo mitico, quindi la formazione più vicina al sound delle origini anche per la presenza nella nostra line-up di Phil Palmer, Alan Clark, Danny Cummings e adesso anche di Jack Sonni.

Il segreto del nostro successo è la musica e per noi che possiamo riproporre quella musica ogni sera sul palco si materializza un’autentica magia». Marco Caviglia, voce e chitarra e, con Primiano Dibiase alle tastiere, unico italiano ammesso al grande consesso, partecipa al miracolo di un tour che dopo il Nuovo Continente, li sta portando in un serrato programma di date in Italia. L’ultima, il 5 dicembre, all’Europauditorium (inizio ore 21).

Cambia l’accoglienza a seconda della latitudine in cui vi esibite?

«Dovunque non siamo percepiti come cover o tribute band per la patente di autenticità che ci dà la presenza di tanti membri delle formazioni storiche dei Dire Straits (John e Phil suonano tra l’altro insieme per la prima volta perché all’epoca uno subentrò all’altro), però è anche vero che Mark non c’è più. Però la qualità è altissima. Steve Ferrone è il più grande batterista del mondo e Trevor Horn al basso è una leggenda vivente».

Come avete strutturato il vostro concerto?

«Nella track list compaiono tutti i successi degli album degli Straits, da ‘Money for Nothing’ a ‘So far away’, a ‘Sultan of Swings’, con l’inserimento di due o tre pezzi del nostro album di inediti ‘3 Chord Trick’ che la critica ha accolto molto bene e ben si armonizza con il resto della scaletta visto che il nostro genere segue la falsariga di quello dei nostri numi tutelari. E poi a ogni tappa riserviamo una sorpresa. A Chicago, per esempio, nel primo anniversario della scomparsa di Tom Petty, abbiamo suonato la sua ‘Angel Dream’. È facile improvvisare sempre qualcosa di diverso con musicisti di questo calibro».

La parola chiave della vostra avventura è eredità. I Dire vi hanno lasciato anche i loro fan?

«La stragrande maggioranza di chi viene ai concerti in effetti ha dai 30 ai 50 anni ma ci sono anche tanti giovani. A Padova per esempio due ragazze di quindici anni hanno cantato dalla prima all’ultima canzone e le abbiamo invitate nel backstage perché la loro performance ha avuto del clamoroso. Il travaso generazionale è avvenuto ovviamente attraverso i padri 40-50enni».

Com’è arrivato un italiano tra cotanta corte?

«Beh, la storia è lunga, diciamo che c’è stata una componente di fortuna e la capacità da parte mia di salire sul treno che è passato. Per me è un grande onore. Credo che, al di là delle doti che possono anche non essere eccelse, questa musica vada sentita dentro e nel mio caso ha funzionato la capacità di trasmettere tale passione. Sono sempre stato un fan dei Dire».

Continuerete anche nella vostra carriera autonoma?

«Il progetto c’è ma abbiamo un sacco di impegni live anche nel ’19 e nel ’20 in Nordamerica per cui manca il tempo materiale, ma la volontà c’è».

Dove fate base?

«A Londra negli studi di Trevor. Io e Phil partiamo da Roma, Jack e Steve vengono dalla California. Al loro fianco ogni minuto è un travaso di know how di altissimo livello. Non a caso nel nostro progetto è incluso anche un aspetto didattico-formativo com’è successo a Milano dove abbiamo invitato alcune scuole di musica e abbiamo visto bambini di dieci anni suonare con chitarrone più grandi di loro. È stata una grande emozione».