{{IMG_SX}}BOLOGNA, 22 SETTEMBRE 2007 - ECCO alcuni passaggi del libro di Bernardo Caprotti, presidente di Esselunga, nel quale si ripercorre la vicenda del supermercato di via Andrea Costa.

Durante la costruzione del nostro centro commerciale di Casalecchio di Reno, nel 1998, l’impresa Galotti, che lo stava realizzando, ci presentò il dottor Franco Goldoni. Era – attraverso la società Andrea Costa 2000 – proprietario dell’area ex Hatù di via Costa a Bologna, presso Porta Saragozza. La Hatù, venduta a stranieri, si era trasferita fuori città. L’area era molto ben posizionata e vi era consentita la realizzazione di un supermercato. Il 19 maggio 1999, Esselunga – attraverso la società Iridea – sottoscrisse un accordo per l’acquisto di quest’area e del supermercato a costruirsi, per un importo di 40 miliardi di lire. Il progettista e direttore dei lavori, Gianfranco Masi, noto architetto di cooperative, mostrò subito di non gradire il nostro intervento. Si oppose alla nostra richiesta di modificare parzialmente il progetto.

Nel corso degli scavi, vennero alla luce dei resti archeologici che il ministero dei Beni culturali, attraverso la Soprintendenza archeologica dell’Emilia Romagna, identificò come le fondazioni di un complesso rustico di età etrusca caratterizzato dalla «rarità della tipologia edilizia di indubbio e rilevante interesse archeologico». Il 16 novembre 1999 il ministero, a firma del direttore generale Mario Serio, ministro essendo la signora Giovanna Melandri, appose il vincolo. Non si tocca più niente. Seguirono poi gli atti di rito. L’impatto sull’opera a costruirsi era devastante. I parcheggi interrati irrealizzabili. La strada della rimozione con collocazione altrove dei resti archeologici ci fu detta non percorribile. Inoltre la Soprintendenza per ben tre volte aveva chiesto che il pavimento del supermercato venisse realizzato in lastre di cristallo, in modo tale che dal negozio il pubblico potesse fruire dell’inestimabile reperto. Il 16 febbraio 2000, dopo le inutili trattative condotte da Masi e Goldoni con la Soprintendenza, la società Costa scrisse a Iridea-Esselunga: «Riteniamo di dover dare per passata questa estenuante trattativa che si protrae inutilmente ormai da oltre otto mesi». Il 17 febbraio 2000 Iridea a sua volta rispose alla società Costa: «Quella collaborazione che abbiamo sempre sperato di trovare in campo tecnico in realtà non sussiste e ciò porta ad ostacoli enormi per ogni prosieguo. A fronte di ciò riteniamo cosa saggia prendere atto della Vostra decisione di interruzione di ogni trattativa».

 

In tal modo nel febbraio 2000 veniva consensualmente sciolto l’impegno tra Esselunga ed il dottor Franco Goldoni. Il successivo 20 aprile il Consiglio di amministrazione di Coop Adriatica, presieduto da Pierluigi Stefanini, deliberava l’acquisto del centro commerciale di via Costa, mentre il 5 maggio 2000, il soprintendente ai Beni archeologici dell’Emilia Romagna avrebbe comunicato il proprio parere favorevole al «recupero, restauro, trasferimento e valorizzazione dei resti antichi in altra area».
Ad un lettore distratto vorrei permettermi di far osservare: a fine febbraio Esselunga si ritira; il 20 aprile la Coop di Stefanini delibera; il 5 maggio il Soprintendente comunica di aver già dato parere favorevole. A Bologna, in via Costa, è operante dal 17 settembre 2002 un supermercato di Coop Adriatica. Il 21 gennaio 2006 sono andato alla ricerca dei reperti etruschi. Li ho trovati nella zona verde in fondo alla via della Nuova Certosa. In un recinto con la base in cemento, sovrastato da una squallida griglia zincata, stavano valorizzati, e coperti da una plastica nera in gran parte nascosta dalle erbacce, i segni di una perduta civiltà.