Difficile dimenticare quell’immagine: lei, da sola, in mezzo a cinque bare, durante i funerali di Stato che vennero celebrati al palazzetto di Monticelli. Non aveva più nemmeno la forza per piangere. Il terremoto sterminò completamente la sua famiglia. In pochi secondi perse il marito Alberto, il figlio Tommaso di 14 anni, i genitori, il cognato e anche tanti amici. E’ la storia, terribile, di Patrizia Marano. Una donna forte e coraggiosa, che è riuscita a rialzarsi e che, in questi otto anni, si è fatta portavoce di tutti coloro che il 24 agosto del 2016 hanno perso i propri cari. Patrizia guida l’associazione ‘Io sto con Pescara del Tronto’, che riunisce i familiari di chi volò in cielo proprio in quella notte.
Ha poca voglia di parlare, dopo otto anni di dolore e sofferenza, ma ha deciso di affidare il suo stato d’animo a una lettera aperta, indirizzata al presidente della Regione Francesco Acquaroli, al commissario Guido Castelli, al sindaco di Ascoli Marco Fioravanti e al primo cittadino arquatano Michele Franchi. "Per noi superstiti e parenti delle vittime il tempo si è fermato quel giorno, i nostri orologi fanno ancora le 3,36 – racconta la donna –. Purtroppo non si può tornare indietro e salvare mio figlio, mio marito, i miei genitori e tutti gli altri amici e conoscenti morti nel terremoto".
"Oggi vogliamo commemorare il ricordo di quella strage, che forse con una migliore gestione del territorio e del patrimonio edilizio pubblico e privato si sarebbe potuta evitare. Vogliamo ricordare chi non c’è più, strappato ai nostri affetti dalla furia della natura, ma da una furia che bisognava saper almeno mitigare. Il nostro dramma è di facile interpretazione: abbiamo perso tutti gli affetti che la vita ci aveva dato, non ci sono soluzioni realistiche per un dolore così grande. A noi è rimasto solo il parchetto della memoria dove furono adagiati i corpi dei nostri cari prima di essere portati nell’obitorio dell’ospedale per l’identificazione. Il parchetto è un luogo sacro per noi: ci torniamo spesso durante l’anno, stare lì lenisce il dolore, ci avvicina a chi non c’è più, ci fa risalire dall’abisso in cui siamo sprofondati. Nelle nostre vite da sopravvissuti al centro della scala dei valori ci sono loro ed è nel loro ricordo che riusciamo ad andare avanti. Per questo oggi vogliamo chiedere alle autorità di avere memoria dei nostri morti – prosegue Patrizia Marano –. Meglio non parlare di ricostruzione, di quello che andava fatto e che si farà. Vogliamo solo sentirvi accanto nel dolore, quindi unitevi alla nostra angoscia che ci impedisce ancora di dormire. Io c’ero, i miei occhi hanno visto, le mie orecchie hanno ascoltato le grida delle persone che morivano, il mio naso ha sentito l’odore della polvere, delle macerie, della distruzione. E, per quanto coraggio posso avere, ho ancora paura".
Matteo Porfiri