Un femminicidio ha squarciato l’aureola di serenità di una provincia che fino a poche ora fa si fregiava del titolo di luogo più sicuro d’Italia. Massimo Malavolta, 48 anni, ha ucciso sua moglie Emanuela Massicci, di tre anni più giovane, nella loro casa di Ripaberarda, mentre all’interno dell’abitazione c’erano i figli di 11 e 12 anni. L’uomo ha provato a togliersi la vita tagliandosi la vene e ha chiamato suo padre: "Emanuela non si sente bene, non respira". Allertato dal figlio, l’anziano genitore ha così chiamato i soccorsi. Il femminicidio è avvenuto alle prime luci dell’alba, e quando carabinieri, vigili del fuoco e operatori sanitari si sono recati nell’abitazione è stato uno dei piccoli ad aprire loro la porta.
Massimo Malavolta, di San Benedetto, era seduto a letto, con un coltello in mano. Al suo fianco c’era la donna, la maestra Emanuela Massicci, tre anni più giovane, immobile. Aveva numerose tumefazioni al volto e in varie parti del colpo, segno di una morte efferata. Lui si era accasciato quasi privo di sensi, con le ferite ai polsi. Ora è piantonato in Rianimazione all’ospedale Mazzoni di Ascoli. Stando alla ricostruzione degli inquirenti i due bimbi non hanno assistito alla aggressione né al tentativo di suicidio, perché il padre aveva chiuso a chiave la stanza. Per loro doveva essere una giornata di festa con la recita di Natale in programma a scuola, si è trasformata in una tragedia. Ora sono stati affidati ai nonni materni.
Il femminicidio si è consumato in un casolare bianco, lungo la strada Provinciale 73, di solito scena di feste e momenti di svago. Nello stesso immobile si trova infatti l’Osteria del Pelo, della famiglia di Emanuela: subito dopo una curva il ristorante, con la casa annessa, si trova sotto il livello stradale. Sullo sfondo si ergono i calanchi, uno spettacolo naturale, colline che sembrano squarciate da tagli, ferite profonde.
Poco più avanti c’è il centro della frazione, mentre Castignano si scorge in lontananza, circondata dalle mure. In paese c’è poca voglia di parlare, nei bar la gente ha la testa bassa, tra chi già sa e chi lo viene a scoprire in quel momento. "Ci sono stati altri episodi, andava fermato prima" dicono. E ancora: "Io le dicevo di tirarsi fuori da questo matrimonio, era sempre più chiusa in sé stessa – racconta una sua amica –, lei mi ripeteva ’lo amo, lo amo’". Di denunce, però, neanche l’ombra. Di precedenti invece sì.
L’uomo era infatti finito ai domiciliari nel giugno 2015 per lesioni aggravate e atti persecutori nei confronti di un’altra donna, peraltro con disabilità. Nel gennaio 2016 – mentre si trovava ancora agli arresti domiciliari – era stato condannato dal tribunale di Ascoli a due anni di reclusione (applicata la diminuzione di un terzo per il rito abbreviato) senza pena sospesa. La sentenza era stata poi riformata dalla Corte di Appello di Ancona che aveva riqualificato il reato di atti persecutori nella contravvenzione di molestia, con una condanna a 6 mesi e 20 giorni di reclusione con pena sospesa, condanna che diventava definitiva nel giugno 2018. Ieri il tragico epilogo e un tarlo che corrode in questi momenti. Si poteva evitare?
Flavio Nardini