Ascoli, 26 agosto 2020 - Gli investigatori delle fiamme gialle di Ascoli sono riusciti a recuperare beni, all’attivo del fallimento della Saco della famiglia Santarelli, per 70 milioni di euro, “scavando” nei computer e arrivando a fare perquisizioni e sequestri in Lussemburgo, Roma e Ascoli Piceno.
Oltre al recupero dell’ingente somma di denaro e capitali, i militari della finanza hanno denunciato sei persone, di cui tre commercialisti. E’ stata definita “Operazione Nemesi” con sviluppi anche in campo internazionale, partita nel giugno scorso con un provvedimento di sequestro preventivo emesso dal Gip con perquisizioni nella stessa Ascoli e poi a Roma. Interventi compiuti nello studio di un consulente di filiali di due Istituti di Credito e la notifica di un ordine di esibizione documentale ad una società fiduciaria di amministrazione e trust di Milano, che aveva rapporti con persone sottoposte a indagini.
Responsabili e collaboratori dell’azienda avrebbero creato un debito di 298 milioni di euro, dei quali 208 contratti con le banche. L’azienda fu dichiarata fallita nel novembre del 2019. Determinanti, nelle indagini, le attività svolte dai finanzieri della sezione “Computer Forensics e Data Analisis” della polizia Economica e Finanziaria di Ascoli, che hanno scandagliato diversi apparati informatici scoprendo file e tracce digitali transitate nel tempo nelle memorie dei computer.
Molte risposte agli operatori della finanza sono arrivate dal Lussemburgo, attraverso una rogatoria avviata dalla Procura di Ascoli e poi affidata, tramite Interpol, alla polizia lussemburghese. E’ emersa così la posizione di 3 membri del Collegio di amministrazione, che sono stati indagati insieme ad altri 3 commercialisti ascolani membri del collegio sindacale. Secondo gli investigatori si sarebbero adoperati utilizzando anche società anonime, per arrivare alla bancarotta della società ascolana, svuotandola degli asset patrimoniali a danno dei creditori.
Le sei persone indagate dovranno rispondere, a diverso titolo, dei reati collegati alla 'Bancarotta fraudolenta patrimoniale aggravata per distrazione”; “Bancarotta fraudolenta preferenziale aggravata”; “Bancarotta fraudolenta aggravata da reato societario”, poiché erano stati iscritti nel bilancio della società fallita, falsi valori per importi rilevanti tra il 2011 e il 2017, che hanno permesso all’azienda di continuare l’attività in assenza dei requisiti di carattere economico-patrimoniale.
In questo modo il deficit patrimoniale è passato dai 3 milioni di euro del 2011 e più di 16 milioni del 2017. Secondo gli investigatori della finanza i tre professionisti, attraverso il loro parere favorevole nelle relazioni ai bilanci, chiusi dal 2012 al 2017, non avrebbero impedito la formazione e l’approvazione delle false comunicazioni sociali. A conclusione della complessa attività investigativa, i finanzieri sono riusciti a riportare nella massa fallimentare circa 70 milioni di euro.