
Il Presidente del Consorzio di Tutela dei Vini Piceni, Simone Capecci è molto preoccupato. Presidente Capecci, lei è reduce da...
Il Presidente del Consorzio di Tutela dei Vini Piceni, Simone Capecci è molto preoccupato. Presidente Capecci, lei è reduce da un incontro fatto alla Vinea di Offida proprio sul vino dealcolato: che idea si è fatto?
"È vero, e devo dire che la preoccupazione è generale. In qualità di presidente del Consorzio, ho sottolineato che non abbiamo ancora preso una decisione, a differenza di altri consorzi italiani perché c’è da fare molta chiarezza sulla questione. I vini senza alcol o parzialmente dealcolati, non si possono chiamare vini. Questo credo che dobbiamo affermarlo con chiarezza, anche per non creare confusione. Certo per le aziende grandi o per le cooperative che producono grandi quantità e hanno parecchie giacenze delle vendemmie precedenti, questa può essere una opportunità. Ma noi come piccole aziende non credo possiamo permetterci di fare certi investimenti".
Serviranno nuovi stabilimenti, macchinari costosi: è una produzione solo per pochi?
"Certamente sì. Noi come Consorzio di Tutela dei Vini Piceni abbiamo fatto un grande lavoro per ottenere la denominazione controllata, per la selezione delle uve, per la raccolta manuale e non possiamo accettare questa situazione che mina la nostra cultura e le nostre tradizioni. Per il vino dealcolato servono investimenti importanti e anche gli stabilimenti non possono essere gli stessi della produzione tradizionale. Certo sembra che per il vino senza alcol ci sia qualche piccola opportunità commerciale nel mercato americano, ma il mercato del vino attraversa un momento di transizione e dobbiamo concentrarci sul discorso delle denominazioni che ci contraddistingue".
Ha parlato del mercato americano: la preoccupa la questione dei dazi?
"Sì, ma aspettiamo fiduciosi. Il mercato statunitense del vino non è stabile anche a causa dell’inflazione perché i grandi importatori e i grandi distributori stanno vedendo di creare pacchetti e questo crea incertezza non solo per le aziende che vogliono entrare nel mercato americano, ma anche per quelle che già lavorano con gli Stati Uniti".