
Nel disastro del Moby Prince morirono in 140. In basso, la protesta dei parenti
Sono passati esattamente trentaquattro anni dalla notte del 10 aprile 1991, quando il traghetto Moby Prince entrò in collisione con la petroliera Agip Abruzzo nella rada di Livorno. Una tragedia che costò la vita a 140 persone, la più grave mai avvenuta nella storia della marina mercantile italiana dal dopoguerra. Tra quei morti c’era anche Sergio Rosetti, marittimo di San Benedetto del Tronto, membro dell’equipaggio. Ieri sera, al Teatro San Filippo Neri di San Benedetto, è andato in scena lo spettacolo M/T Moby Prince 3.0, che ha riportato al centro della coscienza pubblica una vicenda ancora oggi piena di zone d’ombra. Non era in platea Nicola Rosetti, figlio di Sergio, che si trova a Livorno proprio per le celebrazioni del triste anniversario. Ma il suo pensiero ha attraversato le pareti del teatro, e la sua voce oggi si fa sentire con fermezza. "Trentaquattro anni sono tanti. Noi familiari siamo esausti. La terza commissione sta andando avanti per arrivare a una verità storica e soprattutto giungere alla fine di questa vicenda. Manca poco, mancano tre punti fondamentali: il primo è il nome della terza nave. Il secondo è perché queste 140 persone siano state lasciate morire e poi per quale motivo quella sera nessuno si mosse per soccorrere tutta quella gente".
Una verità, quella richiesta dai familiari, che ancora non trova risposta definitiva. Nei giorni successivi all’incidente si parlò di una fitta nebbia, di un equipaggio distratto dalla televisione, di una fatalità. Ma le indagini successive, le testimonianze e soprattutto le contraddizioni emerse nei processi, hanno messo in discussione la ricostruzione ufficiale. Anche Nicola lo sa bene: "Ci sono voluti 34 anni per levare tutta la nebbia che c’era su quella notte, una nebbia inventata per coprire tutte le mancanze e tutto quello che quella sera non ha funzionato". Quella sera, i soccorsi si concentrarono sull’Agip Abruzzo, nonostante dal Moby Prince fosse partito un mayday. Quando i soccorritori raggiunsero finalmente il traghetto, era già troppo tardi. I passeggeri e i membri dell’equipaggio erano morti carbonizzati o soffocati dai fumi. Il nome di Sergio Rosetti, per San Benedetto, è rimasto inciso nella memoria della comunità, ma troppo poco si è fatto a livello nazionale per onorare davvero chi ha perso la vita. Lo spettacolo andato in scena ieri è un passo importante, secondo Nicola: "Quella dello spettacolo è un’iniziativa importante che serve a tenere viva la memoria di quella strage. Non si deve mai dimenticare cosa accadde a Livorno nel 1991 e non dimenticare che 140 persone, tra cui mio padre, sono state sole a morire quella notte". M/T Moby Prince 3.0 è un’opera di teatro civile scritta da Francesco Gerardi e Marta Pettinari, con la regia di Federico Orsetti. Non è un racconto documentale, ma un percorso emozionale e narrativo che mette in relazione voci, immagini, testimonianze, ricostruendo i fatti attraverso le parole delle vittime, dei testimoni, dei documenti ufficiali. Il lavoro parte proprio da una domanda: perché, quando si parla delle grandi stragi italiane, il Moby Prince non viene mai nominato? Forse perché nessuno è mai stato ritenuto colpevole. Forse perché le responsabilità sono state troppo diffuse e troppo imbarazzanti per emergere chiaramente. Lo spettacolo si muove dentro questo vuoto, attraversando il dolore, la rabbia e il silenzio che hanno accompagnato i familiari delle vittime per oltre tre decenni. Una nebbia, quella di quella sera, che è diventata metafora della nebbia istituzionale, giuridica e politica che ancora avvolge tutta la vicenda.
Emidio Lattanzi