
La piccola Sophia Marcozzi è morta all'ospedale di Ascoli (Foto Labolognese)
Ascoli Piceno, 27 marzo 2019 - «L’insorgenza della patologia di volvolo intestinale nel caso di Sophia era un’evenienza assolutamente prevedibile a fronte di un pregresso intervento per atresia intestinale». E’ questo uno dei motivi per i quali il sostituto procuratore Cinzia Piccioni ha impugnato l’assoluzione dei pediatri Luigino Luciani e Anna Maria Bianchi in relazione alla morte di Sophia Marcozzi. Pur nel riconoscere che si tratta di «una patologia grave e insidiosa», la dottoressa Piccioni rimarca però che «proprio in considerazione di ciò il dottor Luciani avrebbe dovuto disporre accertamenti diagnostici urgenti volti a formulare una corretta e tempestiva diagnosi per escludere ogni complicanza più grave. Ma solo alle ore 8,20 – sostiene – è stata richiesta la radiografia che, per altro, non ha sollecitato nel corso degli eventi che hanno portato alla morte della bambina».
Nel ripercorrere quella drammatica giornata il sostituto procuratore ricorda la testimonianza del medico di guardia dell’ospedale di Sant’Omero, dottoressa Marilena Giobbi. Sentita durante il processo ha detto che «alla luce dei sintomi e del pregresso intervento chirurgico alla nascita, poteva succedere di tutto. La bambina andava visitata e sottoposta ad accertamenti» e ha citato espressamente «una radiografia diretta all’addome, un’ecografia».
Per questo la dottoressa consigliò alla mamma di Sophia di «portare la figlia al Mazzoni». Il magistrato dissente dalle valutazioni del giudice Bartoli che ha sostenuto, assolvendo i medici, che «le condizioni della bambina erano buone alle 7,30, il volvolo intestinale è una patologia rara, il carattere intermittente lo rendeva probabilmente silente al contatto fra medico e paziente». Sul punto il pm Piccioni ricorda che la Corte di Cassazione ha chiarito che «l’errore diagnostico per colpa professionale medica si configura anche quando si omette di eseguire e disporre controlli e accertamenti doverosi ai fini di una corretta formulazione della diagnosi». L’addebito che la Procura di Ascoli muove nei confronti della dottoressa Bianchi, subentrata nel turno al collega Luciani, è quello di non essere «tempestivamente riuscita ad incannulare una vena della bambina; operazione che avrebbe stabilizzato le condizioni della piccola Sophia». L’affondo del magistrato al nosocomio ascolano è incisivo e diretto. «Il reparto di pediatria – medici e infermieri – ha di fatto trascurato Sophia» sostiene il pm Piccioni riferendo di testimonianze contrastanti fornite dagli infermieri in processo.