Ascoli, 25 ottobre 2024 – Si facevano consegnare somme di denaro da cittadini stranieri con la falsa promessa di far ottenere loro il permesso di soggiorno nel territorio italiano. Per questo sono finiti nei guai per truffa un 35enne di Offida e un 40enne pakistano, entrambi difesi dall’avvocata Claudia Demasi. Nei loro confronti è in corso il processo davanti al giudice del tribunale di Ascoli Angela Miccoli e al pubblico ministero Nicola Rago.
Una vicenda che ha avuto come teatro la vallata del Tronto dove ha sede un’azienda agricola gestita dall’offidano finito sotto processo. La figura chiave però è l’altro imputato, il 40enne pakistano che lavorava nell’azienda agricola e faceva da tramite per reperire lavoratori in nero fra i connazionali che, sbarcati illegalmente in Italia, giungevano nel piceno a caccia di un lavoro e di un modo per ottenere il permesso di soggiorno.
Le testimonianze
Un quadro che sta emergendo anche dalle testimonianze dei dodici pakistani che si stanno avvicendando in tribunale per raccontare cosa è accaduto loro. I dodici pakistani erano pronti a tutto quando sono partiti per l’Europa, come i tanti, troppi, che vediamo tutti i giorni sui media che sbarcano nelle coste italiane sui barconi in cerca di un futuro in Italia. Il loro connazionale garantiva loro un bel lavoro nell’azienda agricola dove lui stesso lavorava.
“Così avrete facilmente il permesso di soggiorno che vi permetterà di vivere tranquillamente in Italia” era la promessa alla quale gli extracomunitari chiaramente non potevano resistere, avendo come obiettivo proprio quello di stara nel Bel paese e costruirsi una vita.
Il meccanismo
Ma per ottenere questo “favore” il loro connazionale chiedeva soldi per quella sorta di intermediazione e che lavorassero in nero nell’azienda agricola. Oltre a non percepire alcuna retribuzione, la cifra richiesta era di mille euro per ognuno, così motivata: 500 euro servivano per l’F24 relativo al contributo forfettario e gli altri 500 euro per spese ulteriori, relative alla stessa procedura che veniva rigettata senza far conseguire ai cittadini pakistani l’agognato permesso di soggiorno.
Di fatto quei mille euro a testa pagati non sono stati mai spesi per le pratiche burocratiche, ma sono rimasti in tasca del pakistano: in tutto, dunque, 12.000 euro. Le vittime di questo meccanismo, non avendo ottenuto quanto desideravano e per cui avevano lavorato gratis e pure pagato, hanno sporto denuncia contro il loro connazionale e l’imprenditore agricolo di Offida.