L’autografo perduto della Divina. Commedia

della sottrazione da dove viene il testo giunto fino a noi?.

L’autografo perduto della Divina. Commedia

della sottrazione da dove viene il testo giunto fino a noi?.

"Immaginate Dante che perde, o meglio, è derubato dell’autografo del suo poema, l’opera cui “ha posto mano e cielo e terra / sì che m’ha fatto per più anni macro”. Pensateci: tutto coincide, anche l’epoca. Immaginate lo scenario: Dante giunge a Venezia inviato da Guido Novello da Polenta, il signore cui accennano le ultime parole del nostro testo. Ha con sé il manoscritto del suo poema da cui non riesce più a separarsi perché continua a ritoccarlo, a perfezionarlo. Qualcuno viene a saperlo: un maniaco, un cacciatore di rarità. La cultura in Occidente si sta risvegliando e i Veneziani in particolare, che sono da tempo a contatto con la civiltà bizantina, sanno che cosa significa, quali immense conseguenze può avere questo risveglio, quale incommensurabile valore potranno avere le opere basilari della civiltà occidentale..."

Barrese che taceva da qualche tempo si passò una mano sulla fronte, poi alzò il dito indice come a chie- dere l’attenzione dei presenti: "Qualcuno di voi conosce l’epistola di Dante a Cangrande della Scala?" chiese.

"Be’, sì," rispose Fossa "ma se dovessi dire che cosa contiene non saprei da dove cominciare."

"È una specie di dedica del poema allo stesso Cangrande, se ricordo bene" disse Marras. "Ma oltre non vado."

"È più o meno così," confermò Barrese "ma anche molto di più. Se la lettera è autentica, e ormai sembra non ci sia più ragione di dubitarne, Dante vi afferma dei concetti che oggi potrebbero apparire deliranti e che alla sua epoca avrebbero potuto costargli l’accusa di eresia e forse anche il rogo."

"Continui" disse Fossa.

"Dante, in sostanza, afferma che ciò che descrive nella Commedia, ossia la condizione delle anime dopo la morte, è il ricordo parziale, ma sostanzialmente fedele, di ciò che lui ha realmente visto."

"Be’, forse lui lo credeva davvero" commentò Lucio.

"Non mi stupirei che il suo stato di concentrazione raggiungesse la condizione allucinatoria: la forza di certi passaggi è stupefacente, apocalittica..."

"Apocalittica è la parola giusta," proseguì Barrese "e Dante osa fare un parallelo fra la propria esperienza e quella di san Giovanni a Patmos. Ce n’era più che a sufficienza per arrostirlo, se il papa fosse riuscito a mettergli le mani addosso. Potrebbe essere qui la chiave di questa presunta sottrazione del manoscritto. Per non parlare di eventuali piani di lettura iniziatici della Divina Commedia. E se il suo antenato Cacciaguida fosse stato un Templare, per esempio? Dante avrebbe potuto ereditare per vie che ignoriamo una tradizione gnostica o sincretistica propria di certe deviazioni dottrinali che si attribuiscono solitamente ai Templari. Più che un feticismo culturale, che mi sembra prematuro a quell’epoca e in quella specifica condizione, io vedrei qui la sottrazione di un oggetto magico, di uno strumento di iniziazione a segreti altrimenti inaccessibili. Forse addirittura un rituale di qualche genere a noi ignoto..." Sospirò. "Forse sto solo farneticando..."

Marras cercò di riprendere il filo di pensieri più pratici e realistici: "Ma se è vera l’ipotesi della sottrazione dell’autografo," chiese "da dove viene il testo che è giunto fino a noi, quello che studiamo tutti sui banchi del liceo?".

"Da una copia" replicò Lucio. "“Sei mesi dopo giunse al figlio che grandemente se ne rallegrò.” Il nostro misterioso ladro fa eseguire una copia – gli ci vogliono sei mesi di tempo – o la esegue egli stesso e la spedisce al figlio del poeta: Pietro, sicuramente, che curò il primo commento. Il quale se ne rallegra moltissimo. Forse era disperato non riuscendo a trovare l’opera paterna fra le sue carte. Ed ecco l’insperata fortuna: il manoscritto giunge da Venezia, probabilmente senza mittente."

"Ma Pietro sicuramente riconosceva la grafia paterna, si suppone che siano stati a lungo in corrispondenza: come non si accorse che la mano era diversa? E come escludere che il padre non glielo abbia detto? Immagino che Pietro sarà senz’altro accorso al capezzale del padre malato e morente."

"Forse se ne accorse, forse fu Dante stesso a dirglielo, ma Pietro non rivelò nulla a nessuno, e la cosa non deve meravigliare. Tu che avresti fatto al suo posto? Avresti reso pubblico e commentato il più grande poema di tutti i tempi, scritto dal tuo stesso genitore appena scomparso specificando che non era il manoscritto originale? Ecco qua il commento di Pietro di Dante alla Commedia, anzi, a una copia redatta da uno sconosciuto, perché l’originale se lo sono fregato? No. Non l’avrebbe mai detto, né l’avrebbe mai fatto. Se Pietro ha ricevuto la copia e l’ha riconosciuta come tale, non l’ha mai detto a nessuno e ha portato con sé il segreto nella tomba." Barrese, che fino a quel punto non aveva proferito verbo, disse solo: "Oh, mio Dio...".

"Ma quel modo grottesco di nascondere il manoscritto, sempre che di quello si tratti" osservò Fossa.

"Il più sicuro. Chi andrebbe a frugare nella pancia del cadavere di un appestato? E chi viene incaricato della bisogna? “Uno che l’aveva già avuta” ossia la peste. Un immune."

"Come i monatti del Manzoni?" chiese Fossa.

"Esattamente. Solo che la parola manzoniana è di origine seicentesca e di radice germanica, da Monat, “mese”, perché se ricordo bene erano pagati o ingaggiati a mese. L’uomo è probabilmente incaricato di trasportare sulla sua nave i morti di un’epidemia e fra quelli anche il cadavere in cui è nascosto il tesoro. Lo sbarca a terra e lo seppellisce, quindi torna a bordo. Qui si consuma l’ultimo dramma. Qualcuno, probabilmente i membri di un equipaggio, potete giurarci, molto ridotto, e sicuramente dipendenti del mandante, hanno praticato dei fori nella chiglia e hanno rinchiuso il nostro uomo nella stiva prima di andarsene, senza sapere il motivo per cui è stato loro commissionato quel delitto. Il mandante dell’assassinio vuole essere così certo del fatto suo che ha anche avvelenato la sua vittima. Forse un veleno a effetto ritardato. Esistono ed esistevano anche allora. A quel punto la nave sta affondando e il poveretto fa quello che può per trasmettere ai posteri la verità. Scrive queste poche righe su un foglio di pergamena che viene trovato sette secoli dopo da un signore inglese un po’ figlio di puttana di nome Michael Liddel-Scott che l’imbosca. Ma fa i conti senza l’oste, cioè il nostro amico Agostino Fanti, che Dio lo benedica, che riesce a registrare la sua conversazione con Sir Basil Foster. Ed eccoci qua."

2005 Arnoldo Mondadori editore S.p.A., Milano

2018 Mondadori Libri S.p.A., Milano