di MASSIMO PANDOLFI _ Gli occhi, sì. A volte gli occhi dicono tutto: parlano, uniscono, feriscono, urlano, abbracciano. In queste ore c'è un'immagine simbolo che ci accompagna in un'epoca segnata dal Covid e piena di dolore, ansie, paure, misteri. Una foto di un gruppo, di ragazzi raccolti attorno al loro condottiero pochi secondi dopo la fine della partita col Belgio e l'inizio di una incontenibile felicità, che sta contagiando la nostra Italia. Scrivo di calcio e della Nazionale che stasera contro la Spagna si gioca l'accesso alla finale degli Europei. Qualcuno dirà che non si può mischiare il sacro con il profano: come si fa a parlare contemporaneamente di pallone e di vita, di gol e di morte? Non esageriamo, sembra irrispettoso, non possiamo ancora essere troppo felici. E invece sì, noi ne parliamo, ci proviamo, vogliamo ri-cominciare a essere felici. A vivere. Con i nostri riti, le nostre abitudini, folli ma sane. Umane. E io dico che questa nazionale ci sta aiutando, ci ridà speranza, appartenenza: è bello tornare a sventolare il tricolore. Quell'immagine di Roberto Mancini, un nostro figlio, nato e radicato nelle Marche, orgoglioso di essere italiano e marchigiano, è entrata nel nostro cuore. Lui in mezzo, i giocatori lo circondano, la sfida è finita da poco. Si guardano, Mancini ha gli occhi di un padre che stringe forte i suoi ragazzi. Occhi che urlano, straripanti di felicità, determinazione e tanto rispetto. Il Mancio dice qualcosa, chissà cosa. Poi alza due dita della sua mano destra e le mostra ai suoi figliuoli. Due, come le partite che mancano alla realizzazione di un sogno. Finisce con il ruggito delle nostre furie azzurre, altro che furie rosse spagnole! Dai che ce la possiamo fare. E ce la possiamo fare tutti, non solo Mancio e i suoi ragazzi. Guardiamoci con quegli occhi, fratelli d'Italia.
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