Bologna, 15 settembre 2022 - È passato poco più di un anno dalla scomparsa di Christian Boltanski , il grande sperimentatore capace di legare linguaggi diversi, di restituire in modo intimo i grandi temi della morte, del tempo e dell’uomo, il creatore di quella straordinaria installazione allestita al Museo di Ustica con i resti del Dc9 caduto in mare nella maledetta notte del 27 giugno 1980. E Bologna, città che lui amava profondamente, gli rende ora un nuovo omaggio. ‘Christian Boltanski: arte e memoria’ si intitola il denso convegno in programma oggi e domani al Centro internazionale di studi umanistici Umberto Eco (via Marsala 26) che, insieme all’associazione Parenti delle Vittime della strage di Ustica, organizza l’evento. Perché la memoria, soprattutto quella individuale e intima, è stato il campo di indagine di questo maestro dell’arte contemporanea.
Alla due giorni di lavoro, aperta dal sindaco Lepore, sono previsti fra gli altri gli interventi di Chiara Parisi , Angela Vettese , Danilo Eccher , Lucia Corrain . Ma anche del cardinale Matteo Zuppi , del compositore Franck Krawczyk e dell’ex direttore del Centre Pompidou Bernard Blistène .
Danilo Eccher è stato uno degli studiosi italiani più vicini a Boltanski: fu lui, allora direttore della vecchia Gam, ad organizzare nel 1997 la sua prima personale a Villa delle Rose e fu ancora lui, venti anni dopo, a curare l’imponente progetto ‘Anime di luogo in luogo ’ che toccò vari luoghi come MAMbo, Arena del Sole e Lunetta Gamberini e che culminò con la consegna della laurea honoris all’artista parigino.
Eccher, il titolo della sua relazione al convegno è ‘Una memoria qualunque’. Perché?
"L’idea di Boltanski è sempre stata quella di mettere al centro delle sue opere storie individuali, contrariamente a quanto fa, ad esempio, Kiefer a cui interessa la Grande Storia. Negli anni ‘90 a Malmo vidi un’installazione particolare: un labirinto di armadietti metallici all’interno del quale gli abitanti del quartiere lasciavano ogni tipo di oggetti personali. Perché la memoria dell’uomo non è destinata a rimanere nel tempo".
Poi venne ‘Pentimenti’, la mostra a Villa delle Rose?
"Fu il primo museo italiano a riconoscerlo. Boltanski era spaventato all’idea di allestire le proprie opere all’interno di una dimora storica e questo gli fece compiere un ulteriore scatto. Ricordo le sale del secondo piano inondate di rose che via via si seccavano e morivano... Un’opera davvero emozionale".
Dieci anni dopo, per volontà dell’associazione dei Parenti delle Vittime, sarebbe arrivata la toccante installazione del Museo di Ustica. Che lezione lascia un simile artista?
"Credo che, in un periodo come questo in cui stanno risorgendo i mostri della retorica, il suo passo leggero su temi inquietanti come la morte ne dimostri l’attualità. Artisti eredi non ce ne sono, ma la sua eredità consiste in una complessità di pensiero su temi nodali come l’uomo e la storia".
I critici sostengono che tre termini meglio di altri definiscono Boltanski: ironia, simbologia e quotidianità. E’ d’accordo?
"L’ironia è una chiave che ha caratterizzato parte del suo lavoro e i suoi simboli sono sempre stati mediati da quella forma. Ma il suo quotidiano resta quello del qualunque e dell’occasionale".