Ancona, 29 agosto 2023 – Il mondo del giovane Xhuliano Bitri, 18 anni appena, è crollato domenica pomeriggio. In quella via Cilea percorsa per raggiungere un locale di Sirolo, che contro ogni forma di ragione si è trasformata in una via dell’orrore.
Raccolta fondi per riportare la salma in Albania
È lì che ha visto suo fratello maggiore Klajdi morirgli tra le braccia, trafitto dall’arpione della fiocina che si è conficcato nel petto del 23enne. È affranto Xhuliano quando lo raggiungiamo telefonicamente e si appresta ormai a lasciare la camera mortuaria dell’ospedale di Torrette. Ma prova a consolarsi, seppure consapevole che nessuno farà tornare indietro il suo Klajdi. La sua ancòra, il suo punto fermo. Con il ragazzo, per superare le barriere linguistiche, c’è anche l’amico dei fratelli Bitri, Kledian Kasa che prova a fungere da mediatore: "Vogliamo giustizia anche per la compagna del killer – chiedono a gran voce – Lo ha fatto salire a bordo e poi sono scappati in auto, mentre una persona esalava l’ultimo respiro in mezzo alla strada”.
Xhuliano ritrova la forza e, in un’intervista al Carlino da far gelare il sangue, ripercorre le fasi dell’omicidio che sconvolto un’intera regione. «Non è possibile, non è possibile», ripete con un filo di voce. "Mio fratello non me lo ridarà più nessuno”.
“Klajdi era così: l’altruismo fatto a persona. Io non posso dimenticare quei tempi quando guadagnava 500 euro in uno stage retribuito e ne destinava almeno 300 a me. Per il mio futuro. E per farmi venire a vivere qui, ad Ancona, dove fianco a fianco stavamo provando a costruirci una nuova vita. Era il mio punto di riferimento, non riesco a pensare quanto mi mancherà". Attacca così, Xhuliano Bitri senza darsi una spiegazione razionale di quello che ha vissuto domenica. Tra rabbia e pensieri intrisi di dolore, tra tristezza, voglia di giustizia e un’enorme dignità. Circondato dall’affetto degli amici e in costante contatto con i genitori, rimasti in Albania.
Xhuliano, cosa ricorda?
"Parto dall’inizio. Io e mio fratello eravamo stati a pranzo in un ristorante a Montemarciano. Con noi c’erano anche Danilo e la sua famiglia, la moglie e i due bambini piccoli, oltre al cugino di Danilo, che viaggiava in auto con noi, con me e Klajdi".
Danilo sarebbe il papà aggredito dall’algerino?
"Esatto, è proprio lui. Danilo è una persona che ha fatto molto per la nostra famiglia. Ha aiutato Klajdi appena arrivato in Italia e gli ha dato un lavoro, nella cucina del suo ristorante. È stata la sua prima occupazione ad Ancona, quella che è servita per fargli mettere da parte i primi soldi, trovarsi una casa. E, in un secondo momento, gli ha permesso di farmi arrivare anche a me dall’Albania. Siamo in ottimi rapporti con loro e capita spesso di uscire assieme, come avvenuto domenica. Mai pensavamo cosa sarebbe potuto accadere dopo una giornata di relax, sorrisi e divertimento".
Ci dica, se riesce e vuole. Si senta libero...
"A metà pomeriggio abbiamo deciso di andare a fare un aperitivo in un locale a Sirolo. Danilo si trovava in auto con la moglie e i figli, noi in un’altra con suo cugino, oltre a me e mio fratello Klajdi. Eravamo un po’ staccati dalla sua macchina. Ad un certo punto, arrivati alla rotonda di via Cilea, la vettura di Danilo si è fermata. Ci siamo affacciati e abbiamo visto l’assassino che si dirigeva verso di lui con fare minaccioso. Urlava, urlava tantissimo e in un attimo ha iniziato a picchiarlo senza scrupoli. Mio fratello è sceso subito. Non ci ha pensato due volte: è corso lì ad aiutare Danilo".
Poi che è successo?
"Lo ha raggiunto e si è rivolto all’algerino dicendogli ‘fermati, ti rendi conto di quello che fai? Ci sono una donna e due bambini piccoli impauriti, vattene via’. Quindi sono corso anche io. Abbiamo provato a dividerli, sono volate delle botte. Gli abbiamo detto, io e mio fratello ‘c’è anche la tua ragazza, che figura stai facendo?’. A quel punto si è allontanato, come per risalire in auto e andarsene".
In realtà ha fatto altro.
"Non è salito nel posto del guidatore, ma ha aperto una delle due portiere posteriori e ha preso qualcosa. Ho gridato a mio fratello: ‘Nasconditi, ha un’arma’. Io sono riuscito ad accovacciarmi dietro una macchina, lui non ha fatto in tempo. Quando è arrivato a tre metri, ha esploso il colpo con quel fucile da pesca. Klajdi mi è morto tra le mani".
Ricorda quegli attimi tremendi?
"Due momenti. Lui in fuga, evidentemente aveva capito cosa avesse combinato. E mio fratello in piedi, quando ho alzato la testa. Non stava bene, si è accasciato a terra. Ho provato a rimuovere la ‘freccia’, poi ho inseguito l’auto dove c’era la compagna del killer ma non sono riuscito a fermarla. Ha caricato il suo uomo e sono scappati".
Cosa chiede, ora?
"Giustizia. Non solo per chi ha ucciso mio fratello, ma anche per la compagna perché ha visto tutto e lo ha aiutato a fuggire. Lui se n’è andato a piedi, lei lo ha recuperato. Mentre mio fratello era lì, senza vita. Non posso immaginar una vita senza di lui. Era tutto per me, vivevamo insieme in un appartamento in affitto nei pressi della stazione di Ancona, mi aiutava in tutto. Nelle pratiche di permesso di soggiorno, nel calcio, nella vita. È morto per aiutare gli altri, come faceva con me e la nostra famiglia".
Ha sentito i suoi genitori?
"Sono in Albania, come le dicevo, e purtroppo non so neppure se riusciranno ad arrivare qui. Devo fare tutte le pratiche per cercare di riportare Klajdi a casa. E farglielo vedere, farglielo vedere per un’ultima volta".