Ancona, 20 novembre 2024 – “Avrei voluto morire io al suo posto, prego tutti i giorni per questo ragazzo, lo giuro su mia madre. Mi sta bene fare il carcere ma non per omicidio volontario perché io non lo volevo uccidere. Non sono un assassino. Non so nemmeno come sia avvenuto il contatto, è stata una disgrazia. Sono un essere umano, ho un cuore, provo emozioni. Non voglio pagare per quello che non ho fatto”. In quaranta minuti di dichiarazioni spontanee Fatah Melloul, 28 anni, algerino, ieri mattina ha spiegato ai giudice della Corte d’Assise e alla giuria popolare quello che dal suo punto di vista sarebbe avvenuto il 27 agosto dello scorso anno, a Sirolo, in via Cilea, quando un fucile da sub da lui impugnato ha ucciso Klajdi Bitri, 23 anni, albanese.
Alla rotatoria c’era stato un litigio stradale perché un’auto, con a bordo un conoscente di Bitri con la moglie, bloccava il passaggio. L’albanese, che si trovava in un altro veicolo, sopraggiunto poco dopo, era sceso dall’auto insieme al fratello di 20 anni e ad una terza persona per prendere le difese del conoscente che stava litigando con l’algerino. Il fucile da sub, preso da Melloul sul sedile posteriore della propria vettura, aveva trafitto all’altezza del cuore il 23enne, uccidendolo sul colpo.
Il 28enne è a processo per omicidio volontario aggravato dai futili motivi. Dopo il fatto si era allontanato con la fidanzata raggiungendo Falconara dove era stato a pesca e dove i carabinieri lo avevano trovato e arrestato in strada dopo una caccia all’uomo durata diverse ore. Per Melloul però non si è trattato di una fuga per il delitto. “Non pensavo di averlo colpito, il fucile lo tengo sempre scarico, non c’era sangue, ancora oggi non so come sia successo – ha aggiunto l’imputato – Ho pensato ad andarmene perché ero da solo contro tre persone che mi hanno seguito quando sono andato verso la mia auto, dovevo scappare per forza, non sapevo cosa altro mi volevano fare avevo già preso pugni e calci. Ho sbagliato, avrei dovuto chiamare i carabinieri”.
L’algerino ha raccontato come quella mattina era uscito per andare a pesca: “Ho comprato il fucile con sacrifici, era mio sogno da bambino”. La discussione era esplosa dopo due colpi di clacson. “Danilo (il conducente del veicolo bloccato, ndr) mi ha colpito per primo – ha detto il 28enne – è venuto verso di me, io mi sono solo difeso. Poi sono arrivati gli altri. La mia ragazza diceva basta-basta. Sono sempre stato una persona onesta, avevo comprato casa con la mia ragazza, vivevamo insieme, ero felice non avrei mai compromesso tutto questo per una litigio stradale”.
Il fucile da sub “si carica con un elastico” ha spiegato, l’imputato lo avrebbe preso solo per spaventare “non ho sparato”. Bitri se lo sarebbe trovato davanti “all’improvviso, è sbucato, mi voleva tirare un calcio”. L’unico momento in cui i due sarebbero stati vicini. Anche la difesa dell’imputato, l’avvocato Davide Mengarelli, smentisce la volontarietà dell’azione da parte del suo assistito. “Lo ha chiarito sin dalla fase dell’interrogatorio con il pm - ha osservato il legale ad udienza finita - una versione plausibile. Avendo a disposizione un’arma che avrebbe potuto sparare se la volontà fosse stata quella di attingere con un colpo sparato avrebbe sparato, nessuno glielo avrebbe impedito, se la volontà fosse stata quella. E’ stata una tragica fatalità come per altro le nostre due consulenze che abbiamo prodotto tendono a dimostrare. La fiocina è penetrata per pochissimi millimetri. Se fosse stata sparata sarebbe penetrata con una maggiore incidenza sulla vittima”.