
di Claudio Desideri
Insieme alla Torre Clementina e alla Chiesetta di Santa Maria costituisce il tesoro storico e culturale di Portonovo: il Fortino Napoleonico. Costruito dai francesi nel 1811 con le pietre dell’ex convento dei Benedettini, dopo un lungo periodo di abbandono, è rinato come un’araba fenice dai suoi ruderi grazie alla lungimiranza di Aldo Roscioni che con esso ha fatto conoscere la baia in tutto il mondo. Oggi a gestirlo sono sua figlia Francesca e il marito Eros Renzietti. A pochi metri dall’acqua azzurra, immerso nel verde del Conero, è uno dei luoghi più esclusivi d’Italia dove dal 2017 è chef Walter Borsini, docente all’Alberghiero di Loreto, consulente di cucina, presidente dell’associazione cuochi della provincia di Ancona".
Quando ha capito che quella dello chef era la sua strada?
"Al termine della scuola alberghiera di Senigallia, dopo aver vissuto diverse esperienze lavorative tra cui il ristorante Passetto di Ancona. Una passione che avevo dentro, trasmessa da mia madre, un’ottima cuoca".
Quali sono state le difficoltà che ha incontrato nella sua carriera e quali le soddisfazioni?
"Nella vita le difficoltà si incontrano tutti i giorni. Serve coraggio nel cambiare tipologia di ristoranti e ristorazione che però costituiscono l’arricchimento maggiore. Tante le soddisfazioni nel lavoro e nell’essere docente all’Alberghiero di Loreto".
Ci sono stati maestri o persone che hanno contribuito ad essere lo chef che è oggi?
"Sicuramente lo chef Ideale Carini del Passetto che mi ha dato la consapevolezza che potevo svolgere questo lavoro. Ma altrettanto importante è lo scambio con i colleghi dell’ambiente professionale e scolastico come quello che ho con lo chef Marco Barchiesi, amico e professionista validissimo".
Quali caratteristiche principali deve avere uno chef?
"Esperienza, passione, tecnica e conoscenza degli alimenti. E’ l’istinto a fare la differenza. Dove l’istinto è l’uomo, la sua personalità, la sua fantasia, la sua cultura, il suo vissuto".
Com’è il rapporto con la cultura gastronomica locale e i prodotti del territorio?
"Un rapporto importantissimo e imprescindibile. Vengo da una famiglia in cui mio padre era uomo di mare e mia madre donna delle colline marchigiane. Loro mi hanno trasmesso l’amore per questa terra e per i suoi prodotti che sono essenziali nei miei piatti. La mia cucina è ispirata dalla contaminazione tra terra e mare, da tradizioni, curiosità e cultura che lasciano un segno. Anche per questo collaboro con Slow Food e con la Comunità di Portonovo appena costituita". Quale è il suo piatto preferito e perché?
"La pasta ripiena o lo spaghetto con olio e parmigiano, e ovviamente i Moscioli selvatici di Portonovo".
I clienti che vengono a Portonovo cercano più un piatto da provare o una emozione da vivere?
"Noi abbiamo un ventaglio ampio di clienti ma è sicuro che chi viene a Portonovo cerca un’emozione in questa baia bellissima, cordiale e verace e ottimi piatti da gustare".
Il lockdown ha chiuso i ristoranti. Cosa le è mancato di più?
"La cosa più bella è che mi sono potuto godere la famiglia e quello che più è mancata è l’adrenalina della ristorazione che molte volte la sera non ti fa addormentare".
Lei lavora in uno dei luoghi più belli d’Italia. Quando e come riesce a gustarselo?
"La mattina presto quando scendo e mi fermo sopra a guardare la baia ma anche quando lavoro e per telefonare ai fornitori per gli ordini vado in uno dei tanti luoghi del nostro locale da dove si vede questa splendida baia. Lavorare in una cornice simile è un dono grande".
Quale consiglio darebbe ad un giovane che vuole intraprendere la carriera da chef?
"Quando parlo con i miei studenti dico che dall’esterno si ha una visione diversa di quella che è la ristorazione. Un mondo complesso, difficile di grandi sacrifici. Serve essere curiosi, fare esperienze cercando la maggiore conoscenza da ogni locale. Non sentirsi mai arrivati e cercare sempre lo scambio con gli altri per crescere".