
Alessandro Sacchi, a processo per omicidio volontario
Ha offerto un risarcimento e ha chiesto la giustizia riparativa, cioè di iniziare il percorso in una struttura per contenere la pena sotto i dieci anni per quello che è un reato punito, almeno in linea teorica, fino all’ergastolo. È iniziata così l’udienza di ieri con Alessandro Sacchi al banco degli imputati. È accusato di omicidio volontario: il giugno scorso sparò alla moglie malata di Alzheimer. Serenella Mugnai morì con un colpo alla testa. "Non ce la facevo più", disse agli agenti della squadra mobile che lo arrestarono, facendo riferimento all’ultimo periodo, a tu per tu con la malattia della moglie. Ieri in corte d’assise si sono alternati i vicini di casa, gli amici, la badante della donna e la psichiatra che ha partecipato alla perizia di Sacchi: perizia che ha già certificato per lui la semi infermità mentale. Una condizione che non lo ha scagionato ma che incide come attenuante nel calcolo finale della pena.
Ricostruire il contesto prima dei fatti: questo l’obiettivo degli avvocati difensori Piero Melani Graverini e Stefano Sacchi (suo nipote) che ieri, prima dell’inizio dell’istruttoria, hanno chiesto di poter accedere alla giustizia riparativa. Una possibilità contemplata con la riforma Cartabia che prevederebbe un percorso in un’associazione che opera nel mondo femminile, una modalità che porterebbe ad ulteriore riduzione della condanna. Una proposta che la corte, presieduta dalla giudice Anna Maria Loprete, si è riservata di valutare, anche perché ci sono indubbie "difficoltà operative". Il problema per la difesa è quello di individuare una struttura in città, come spiegano i difensori: "Potrebbe essere una soluzione per ottenere una diminuzione ma come succede in Italia, spesso si fanno le norme ma poi manca la praticità per attuare e le strutture". E poi c’è l’idea di fare una donazione proprio all’indirizzo dell’ente individuato,
Intanto, il processo è iniziato. La prima ad esser stata sentita in aula è un’amica della coppia: "Venivano due volte a settimana a casa mia, erano una cosa sola: dove c’era lui c’era lei ". Poi è subentrata la malattia: "Si vedeva che Serenella non era più lei da quando si era ammalata - e per Alessandro la malattia era un pensiero fisso". Quindi è arrivata la testimonianza della badante: "Con la malattia le condizioni di Serenella erano peggiorate ma il più delle volte era calma, anche se a volte poteva esserci qualche eccesso. Alessandro? Rimaneva sempre calmo". E così via, con gli altri amici e vicini di casa che hanno tratteggiato un quadro sereno nella coppia seppur con alcuni elementi di difficoltà legati alla malattia della moglie. Tant’è che la psichiatra Guendalina Rossi, consulente della difesa, ha sì sottolineato "l’unione quasi simbiotica tra i due" ma ha poi evidenziato che ci sono stati "episodi di rottura che hanno esposto Sacchi all’usura dell’accudimento, come quando la moglie non lo ha riconosciuto al parcheggio di un negozio".
E adesso manca solo l’ultimo testimone: il dottor Amedeo Bianchi, neurologo, che aveva in cura Serenella Bianca. Sarà lui l’ultimo testimone che il prossimo 24 febbraio chiarirà i contorni dell’’uxoricidio di viale Giotto.
Luca Amodio