REDAZIONE ANCONA

"Sparo a chi canta Bella ciao": a processo

Chiaravalle, così un 41enne aveva risposto all’appello del sindaco dell’epoca ai tempi del Covid. In casa aveva pistola e fucile: nei guai col padre

I carabinieri hanno svolto le indagini

I carabinieri hanno svolto le indagini

Mancava un giomo alla festa della Liberazione, quella del 25 Aprile, una data storica per gli italiani e la liberazione dall’occupazione nazista e fascista.

Il sindaco di allora, Damiano Costantini, aveva scritto su Facebook un post rivolto ai suoi cittadini, quelli di Chiaravalle, invitandoli per il giorno dopo ad affacciarsi dai balconi e cantare l’inno Italiano e a seguire la canzone partigiana "Bella ciao", legata alla Resistenza.

Un leone da tastiera però aveva risposto in maniera violenta. "Il primo che canta Bella ciao gli sparo una revolverata in faccia", aveva commentato. Quella frase, erano i tempi del Covid, il 24 aprile del 2020, in cui si doveva stare chiusi in casa e si poteva prendere una boccata d’aria solo affacciandosi dalle finestre e dai terrazzi, aveva impaurito i cittadini di Chiaravalle.

Decine e decine di telefonate erano arrivate alla stazione dei carabinieri per segnalare la persona che aveva risposto in quel modo, temendo lo potesse fare davvero.

Quel commento però era rimasto nella bacheca del gruppo Chiaravalle Notizie per pochi minuti, poi era stato cancellato da chi lo aveva scritto. I carabinieri però erano andati a casa del commentatore, un 41enne chiaravallese, e avevano perquisito l’abitazione e le proprietà annesse.

Le armi in casa erano state trovate davvero, tutte appartenenti al padre del 41enne, un 77enne, anche lui di Chiaravalle, con regolare porto d’armi.

Un fucile Beretta, calibro 12, era stato trovato in garage, con il colpo in canna. Una pistola, Beretta anche questa, calibro 7,65, era nel cassetto della camera da letto del 77enne, aveva la cartuccia incamerata e il cane armato, pronta a sparare.

In un armadio dell’abitazione era stato rinvenuto un secondo fucile, sempre marca Beretta, smontato ma nella disponibilità di chiunque entrasse perché non era sottochiave come anche le altre due armi. I carabinieri avevano proceduto ad identificare entrambi che sono finiti a processo per procurato allarme, il figlio, e omessa custodia delle armi, il padre.

I due imputati sono difesi dagli avvocati Marco e Giulio Torelli. Ieri mattina, al tribunale di Ancona, davanti alla giudice Antonella Passalacqua, è stato sentito il maresciallo dei carabinieri che ha fatto l’indagine e la perquisizione. "Ci arrivarono molte telefonate di cittadini preoccupati - ha riferito il militare - così andammo a casa della persona segnalata ma il post era stato subito cancellato. Dalla Procura non arrivò l’ordine di sequestrare telefoni o computer per risalire al commento fatto".

L’udienza è stata rinviata al 17 marzo per discussione e sentenza.

Marina Verdenelli