Slogan nazisti in terza media: "Sembra più una bravata. Non c’è maturità politica"

Intervista alla direttrice regionale dell’Ufficio scolastico dopo il caso in una scuola "Pensare a qualcosa di diverso mi sembrerebbe di trovare per forza un colpevole. Dietro ci sono quasi sempre altre fragilità, lo fanno per mettersi in mostra".

di Marina Verdenelli

Inneggiare al nazifascismo a scuola e poi postare tutto sui social. Un atto che appare grave visti i protagonisti, tutti ragazzini minorenni. Il Carlino ha voluto intervistare la direttrice generale dell’Ufficio Scolastico Regionale, Donatella D’Amico, in merito ai fatti anticipati ieri dal nostro giornale.

Direttrice, ha letto cosa è accaduto in una terza media di Ancona?

"Si, non ero stata però informata direttamente dalla preside di quella scuola. Non ne aveva l’obbligo di farlo, non devono comunicarci sempre tutto, evidentemente è riuscita a risolvere e governare la questione da sola. Prenderò comunque io contatti al mio rientro in sede (ieri era fuori per un convegno, ndr) per capire bene cosa sia successo".

Lo ritiene un fatto grave o una bravata adolescenziale?

"Che a quella età possano avere già le idee chiare in politica ho dei dubbi, non si ha una competenza critica a 13-14 anni, quindi pensare oltre alla bravata mi sembrerebbe di dover trovare a tutti i costi un colpevole. Sentirò comunque la scuola per sapere i dettagli e poi riflettere su quanto avvenuto. La scuola deve capire quando è il momento di intervenire sui ragazzi ma questo è possibile quando c’è l’accordo e la collaborazione delle famiglie perché parliamo di minorenni. Da sola può poco. Sono molte di più le ore che un ragazzino passa in famiglia che dentro un edificio scolastico dove la presenza si riduce a 5-6 ore. La scuola aiuta ad educare due volte, sia lo studente che il genitore, abbiamo una doppia responsabilità e ce la sentiamo tutta. In genere fino alla terza media abbiamo un buon dialogo con le famiglie". Ci sono stati precedenti simili? "Di questo genere, così particolare no".

Perché uno studente arriva a questo?

"Dietro ci sono quasi sempre altre fragilità, lo fa per mettersi in mostra, vuole farsi notare, vuole sentirsi al centro dell’attenzione perché magari non la ha altrove. Sta a noi adulti, le famiglie in primis, capire cosa nasconde. E’ importante il dialogo".

Il ministro Valditara ha vietato i cellulari a scuola. E’ d’accordo con questa misura?

"Non mi sembra negativa. Va letta non come una azione forte del ministero ma nel senso che il tempo a scuola è utile e che all’alunno si dice fermati, rifletti, fai altro. Questo ci aiuta anche con le famiglie, a non far dare i telefonini ai figli, almeno a scuola. Poi non significa che non vengono usati dispositivi informatici per la didattica, hanno i pc nei laboratori. La didattica va avanti lo stesso. Gli istituti superiori sono dotati di armadietti dove si possono chiudere i cellulari e riprenderli a fine giornata. Non si muore senza cellulare".

Prima uno studente morto suicida a Senigallia, ora uno che inneggia al fascismo ad Ancona. E’ preoccupata?

"No, sono casi estremamente diversi. Posso dire che quella odierna è una generazione estremanete fragile ma la scuola rilancia l’alleanza con le famiglie per trovare la forza di lavorare insieme per creare i cittadini di domani. Insieme ce la possiamo fare".