
Un momento dello spettacolo
Si chiude con ‘Stabat Mater’ di Liv Ferracchiati la stagione ‘Scena Contemporanea’ di Marche Teatro. Allo Sperimentale di Ancona oggi (ore 20.45) torna in un nuovo allestimento lo spettacolo che valse all’autore e regista il ‘Premio Hystrio’ 2017. E’ un testo nato per ‘riflettere sull’identità di ognuno, sulle gabbie entro le quali ci limitiamo e sulle possibilità di superarle’. In scena uno scrittore trentenne (Ferracchiati) affronta le tappe esistenziali della propria maturazione di essere umano e si dibatte tra l’incapacità di sostenere una relazione con la compagna e la necessità di recidere il cordone ombelicale e ottenere dalla Madre (Francesca Gatto) un ‘patentino’ che lo autorizzi ad esistere. Ad accompagnarlo in questo percorso sarà una psicologa (Chiara Leoncini) che lo aiuterà a individuare i cliché e gli stereotipi di cui, suo malgrado, è vittima.
Ferracchiati, il protagonista è una persona alla ricerca della propria identità, innanzitutto sessuale?
"In realtà lui ha piuttosto chiaro quale sia la sua identità. Diciamo che via via si accorge del fatto che l’identità di genere è in gran parte un costrutto culturale. Nel momento in cui assume le forme di un modello che nel caso specifico è ‘maschile’, in qualche maniera si sente quasi in imbarazzo, perché si accorge che queste forme sono un po’ malsane, a tratti persino ridicole. Quando lui cerca di assumerle forme per attestare la sua identità si sente in imbarazzo, si vergogna di quello che dice".
Quindi questo modello maschile alla fine viene rigettato?
"Lo spettacolo è una fotografia del momento in cui la persona prende consapevolezza. Il centro è il rapporto con la madre. Il protagonista chiede di essere amato, capito, visto da lei. Ma vive un momento di disagio, pur essendo anche capace di ridere di se stesso".
La madre è una figura ‘castrante’, negativa?
"Non è negativa. E’ una madre. C’è chiaramente un parallelismo con la Madonna, trafitta dal dolore, che piange il figlio in croce. Allo stesso modo i dolori che prova il protagonista trafiggono anche la madre, la quale teme che non venga accolto nel giusto modo dalla società. In effetti la società sembra non accogliere chi per qualche ragione non segue la norma prestabilita. Oltre a questa preoccupazione, come per tutti i genitori c’è l’idea che si ha di un figlio, il quale giustamente la tradisce, perché è un essere autonomo. Ma è lecito che i genitori abbiano certe aspettative. Una madre si aspetta il meglio per un figlio, ma spesso le visioni dei due di questo meglio non coincidono".
Ma la madre esprime un giudizio sul percorso del figlio?
"Lei non vorrebbe che il figlio attraversasse i generi, principalmente perché non conosce cosa questo significhi, non ha gli strumenti per decodificarlo, come accade a tanti nella nostra società, in cui ancora si fa fatica a dare quegli strumenti. L’educazione affettiva a scuola è osteggiata. In realtà si tratta di concetti molto semplici, che vengono mistificati e trasmessi nel modo sbagliato, per cui le persone ne hanno paura".
Come li definirebbe?
"Sono concetti di libertà. E sono anche pacificanti. Il costruire la propria identità in maniera autorale, non assumendo forme prestabilite da altri è un inno alla consapevolezza. Ed essere consapevoli non è mai negativo".
Raimondo Montesi