La diffusione delle tecnologie digitali ha determinato profonde metamorfosi sull’organizzazione dell’impresa. Si è delineato un nuovo modello organizzativo, che alcuni definiscono "crowd-work" (il lavoro della massa) ed è in questo contesto che opera il rider, un lavoratore che svolge l’attività di consegna di cibo o beni per conto altrui, con l’ausilio di velocipedi o veicoli a motore. La richiesta di consegna parte dalla piattaforma digitale che opera tramite un algoritmo e indica i turni, i luoghi della consegna e i tempi entro cui effettuarla, lasciando al lavoratore ben pochi margini di scelta. L’algoritmo che governa l’applicazione è spesso denominato "blind", perché non sono trasparenti i criteri utilizzati per le scelte. Più precisamente, dietro l’algoritmo agisce un metodo che consiste nell’apprendimento automatico sulla base di input forniti all’applicazione. Tra i comandi generati non c’è solo l’assegnazione di un turno a un rider, ma anche la decisione di non farlo più lavorare. La mancata consegna o un numero troppo basso di quest’ultime possono infatti portare alla sospensione o al blocco dell’account; quindi l’app si configura come il datore di lavoro e assegna sanzioni. Di certo, non si può dimenticare che questi lavoratori hanno in realtà un nome, un volto, una vita ed è necessario e doveroso che sia loro garantito un lavoro stabile, sicuro e dignitoso. In questa direzione la Commissione europea ha di recente approvato la direttiva volta a migliorare le condizioni dei lavoratori delle piattaforme on line. Da una parte sono definiti criteri per contrastare le false partite iva e dall’altro si richiede più trasparenza sull’uso degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale. È stato inoltre introdotto l’obbligo di "supervisione umana dei sistemi automatizzati per garantire la conformità alle condizioni di lavoro". È un passo in avanti per dare più tutele a una fetta dell’occupazione europea in forte crescita per il modello consumistico delle moderne società. Resta da risolvere però un altro elemento: circa il 55% degli occupati delle piattaforme guadagna meno del salario minimo del Paese. Nonostante questo, i riders hanno orari e carichi di lavoro pesanti e spesso svolti in condizioni estreme, che ne mettono a repentaglio la vita. Isabella Margotta, 3B
CronacaRiders e algoritmi, la sfida per un lavoro dignitoso nell'era digitale