La direttiva del generale Kesselring per una “settimana di lotta contro le bande” tra l’8 e il 14 ottobre 1944 investì anche la Resistenza spezzina e lunigianese, in particolare nel Calicese. Il rastrellamento, ha scritto Daniele Bucchioni “Dany”, comandante del Battaglione Val di Vara della Colonna Giustizia e Libertà, "era nell’aria da alcune settimane". "Era noto che i tedeschi non si erano rassegnati allo smacco subito il 3 agosto precedente nella zona di Ghiacciarno-Casoni. Giunsero ben presto notizie che i tedeschi, al rientro da questo rastrellamento, misero fra i loro obiettivi più pressanti quello della distruzione del Val di Vara. Misero una taglia sulla testa del comandante ma i primi sicari, inviati con abiti ed armi partigiani, a Villagrossa furono catturati". I nazisti agirono quindi anche per vendetta: nel “disastro” del rastrellamento del 3 agosto i partigiani erano riusciti a salvare il grosso delle loro forze grazie alla reazione del Val di Vara e della Brigata Centocroci.
Le colonne tedesche puntarono sul Calicese muovendo da quattro direttrici. I partigiani, ricorda “Dany”, diedero l’allarme: "Il segnale consisteva in brevi raffiche di mitragliatrice alternate da colpi singoli che, se ripetuto due vole a breve intervallo, significava pericolo imminente e grave per tutti e comportava, per i civili, l’abbandono degli abitati, l’occultamento del bestiame e dei beni". A Calice, “zona libera” sotto controllo partigiano, erano stati costruiti rifugi interrati per i civili. I tedeschi furono attaccati per primi e respinti: ebbero molte vittime. Eroico fu il comportamento delle donne di Calice, "che portavano minestra calda, pane e vino per i combattenti, incuranti del sibilo dei proiettili e degli scoppi delle artiglierie e dei mortai". Dopo una forte resistenza, “Dany” decise lo “sganciamento” dei partigiani, cioè il ripiegamento ordinato verso i boschi. A coprirli ci pensarono lui e Girolamo Spezia “Piero”, che "sparavano come dannati". Spezia fu ucciso, colpito al petto e alla testa.
A quel punto Bucchioni sparò all’impazzata e, approfittando di una bomba fumogena lanciata dai tedeschi, si lanciò giù per il pendio per ricongiungersi ai propri uomini. I tedeschi sfogarono la loro furia sui civili e razziarono il bestiame. Il bilancio fu di cinquanta morti nazisti, tre caduti partigiani e oltre dieci uomini dichiarati dispersi, quattro poveri contadini uccisi. Il rastrellamento colpì, nella zona tra Mulazzo e Parana, il Battaglione Picelli al comando di Nello Quartieri “Italiano”, che ebbe due caduti, e, nella zona di Madrignano, il Battaglione Vanni, al comando di Duilio Lanaro “Sceriffo”. Insieme ai nazisti c’erano i fascisti spezzini, guidati dal torturatore criminale Aurelio Gallo. Il Vanni, che si era squagliato ad agosto, questa volta reagì bene, pur avendo 13 caduti: ma molte più vittime inferse al nemico. I partigiani avevano cominciato a capire la lezione del “disastro” di agosto: collaborazione tra le bande, sostegno dei contadini, combattimento attivo e poi “sganciamento”. Come nella guerriglia. Fu così che riusciranno a salvarsi nel rastrellamento più terribile, quello del gennaio 1945, passato alla storia come “la battaglia del Gottero”. Fu la premessa della vittoria di aprile.
* co-presidente del Comitato Unitario della Resistenza