
E’ accusato di aver infettato, causandone la morte, l’ex compagna. Giovanna Gorini e di aver trasmesso la malattia a Romina Scaloni. A entrambe aveva nascosto di aver scoperto la sieropositività.
Dal carcere di Rebibbia a casa sua, nello Jesino. E’ ai domiciliari dalla fine di agosto scorso Claudio Pinti, 42 anni, l’autotrasportatore di Montecarotto accusato di aver infettato, causandone poi la morte, la ex compagna Giovanna Gorini e di aver trasmesso l’HIV alla fidanzata Romina Scaloni. Ad entrambe le donne aveva nascosto di essere sieropositivo. Le condizioni di salute di Pinti, che deve scontare una condanna definitiva a 16 anni e 8 mesi di carcere per omicidio volontario e lesioni personali gravissime, sono peggiorate dopo la sentenza della Cassazione, arrivata a dicembre del 2021, che aveva confermato il verdetto di primo e secondo grado. I domiciliari sono stati concessi dal Tribunale di Sorveglianza dopo una serie di perizie mediche, richieste dallo stesso tribunale e altre fornite dalle perizie di parte depositate dal suo difensore, l’avvocato Massimo Rao Camemi. Tra queste anche la relazione della direzione sanitaria del carcere di Rebibbia, dove Pinti era stato trasferito perché dotato di una apposita sezione in grado di accogliere i detenuti sieropositivi, con i cui i medici hanno diagnosticato l’aggravamento delle sue condizioni di salute.
Dopo quattro consulenze e l’istanza della difesa sono stati concessi i domiciliari, unicamente per le cure. Pinti fa visite specialistiche e programmate e continua a seguire la cura per la sua sieropositività conclamata. Le sue condizioni di salute sono molto peggiorate. Da negazionista, come si professava ai tempi della convivenza con la ex compagna poi deceduta per patologie derivate dall’HIV, ha iniziato poi a curarsi quando è finito sotto processo. Dopo la denuncia di Romina c’era stata una indagine della squadra mobile e Pinti fu arrestato il 12 giugno del 2018. Era a casa quando arrivò la polizia per portarlo in carcere. Ha già scontato sette anni di prigione. La strada del ricorso alla Corte Europea dei diritti dell’Uomo, inizialmente presa in considerazione, non è stata intrapresa. Il ricorso in Cassazione dell’imputato si basava su tre punti: l’annullamento del processo per aver leso il diritto alla difesa del Pinti che in udienza davanti alla gup non fu portato nonostante lo avesse richiesto, la mancanza del nesso di casualità tra le condotte dell’imputato e l’evento morte della ex compagna Gorini, venuta a mancare il 24 giugno del 2017 per una patologia legata al virus dell’HIV, e la mancanza dell’elemento soggettivo perché non ci sarebbe stata la volontà del 38enne di vedere morta la ex compagna al punto di contestargli l’omicidio volontario. La condanna confermata anche in Cassazione era stata ben accolta dai legali e dalla famiglia della Gorini, rappresentata dagli avvocati Elena Martini e Cristina Bolognini. Per loro giustizia era stata fatta, almeno dal punto di vista morale, e si era fatta chiarezza sulle ragioni della morte di Giovanna e sugli ultimi momenti di vita vissuti. Pinti aveva già trascorso un periodo ai domiciliari, nel 2021, prima del verdetto della Cassazione, ma la Procura generale poi era ricorsa al tribunale del Riesame per la revoca. Il ricorso era stato accolto ma la difesa di Pinti lo aveva appellato portandolo alla decisione della Corte di Cassazione che a settembre del 2021 aveva rigettato il ricorso rimettendolo in carcere. Ora da sette mesi è di nuovo a casa.