ALESSANDRO DI MARCO
Cronaca

Le grotte di Frasassi "abitate" 16mila anni fa

Resti di cacciagione, focolari e un tumulo funerario venuti alla luce dagli studi dei paleontologi insieme all’Università di Camerino.

di Alessandro di Marco

Resti di cacciagione, focolari e un probabile tumulo funerario che fanno pensare come quell’angusto spazio fosse già frequentato dall’uomo oltre 16 mila anni fa.

È l’ultima scoperta sul complesso carsico di Frasassi sempre pieno di sorprese, dove hanno iniziato a lavorare geologi e ricercatori per far emergere la storia di lungo corso all’interno della ‘Sala del fuoco’, uno degli ambienti della cosiddetta ‘Grotta del fiume’.

In questo senso tutto cominciò nel 1989, quando alcuni appassionati del gruppo speleologico marchigiano di Ancona entrarono in quel tratto, riuscendo a prelevare resti di carboni di almeno quattro falò diversi, alcune ossa di stambecco e manufatti in selce.

Il materiale fu poi messo a disposizione della Soprintendenza archeologica regionale e in questi mesi viene analizzato da una task force scientifica, impegnata a far emergere i dettagli delle antichissime tracce. Allo studio del sito, effettuato da un gruppo di ricercatori internazionali guidato da Alessandro Montanari, direttore dell’Osservatorio geologico maceratese di Coldigioco, ha preso parte anche la sezione di geologia dell’Università di Camerino, col paleontologo Marco Peter Ferretti che ha analizzato i reperti fossili. "La ricerca - fanno sapere da Unicam - è stata pubblicata nella rivista Internazionale di speleologia, disponibile al sito internet scholarcommons.usf e ha permesso la mappatura della sala del fuoco con moderni strumenti di rilevamento, tra cui scanner laser terrestre e radar a penetrazione terrestre". Le datazioni al radiocarbonio ottenute sui resti di stambecco e sui carboni dei focolari hanno rilevato un’età di circa 16 mila anni, per cui questo ambiente rappresenterebbe uno dei pochi siti archeologici italiani datati radiometricamente riferibile all’ultimo perii pleniglaciale.

"La datazione U-Th della calcite da speleotemi - osservano da Unicam - ha aiutato a ricostruire l’ambiente ipogeo nel momento in cui era frequentato dall’uomo.

I manufatti litici, studiati da Gaia Pignocchi, archeologa di Ancona e coautrice dello studio, testimoniano una rara industria epigravettiana in quest’area dell’Appennino settentrionale.

È stato anche rilevato un deposito peculiare di lastre di crosta di speleotemi accatastate in un angolo della caverna, che potrebbe rappresentare un tumulo funerario".

L’ipotesi, insomma, è che la sala del fuoco rappresentasse un luogo di culto utilizzato sporadicamente da pochi rappresentanti di una comunità locale di cacciatori durante l’ultimo periodo glaciale. Il tutto risalente appunto alla fase epigravettiana, ovvero ad una cultura preistorica della fine del Paleolitico superiore, diffusasi in gran parte dell’Europa a partire da circa 20 mila anni fa, durante l’ultima fase glaciale.

"In Italia - sottolineano i ricercatori - l’ambiente era molto diverso dall’attuale, i ghiacci e le nevi perenni scesero a 1400 metri sul livello del mare. L’alto Adriatico emerse a causa della regressione marina.

Stambecchi, camosci, cervi, cavalli e uri rappresentavano la cacciagione preferita delle comunità umane dell’epoca, che si trovano prevalentemente in ripari sotto roccia e all’imboccatura di grotte".