di Giacomo Giampieri
Aveva compiuto 23 anni una manciata di giorni fa, il 5 agosto. Festeggiando con il fratello Xhuliano diventato da poco maggiorenne - al quale badava da sempre, forti di un legame indissolubile - amici e persone che aveva conosciuto in Italia. Aveva scelto Ancona per costruirsi un futuro. A migliaia di chilometri dall’Albania e dai suoi adorati genitori. E lo aveva fatto, in qualche modo, anche per sostenere la sua famiglia.
Prima lavorando in un ristorante di un amico (quel padre di famiglia picchiato in strada e da lui difeso, ndr), poi ai cantieri navali del porto di Ancona da addetto nella catena di montaggio delle pavimentazioni delle imbarcazioni. Era generoso, altruista e cresciuto fin troppo in fretta per andarsene così. Troppo giovane davvero per morire, Klajdi Bitri, il ragazzo brutalmente assassinato con una fiocina in via Cilea a Sirolo nel pomeriggio di domenica dal 28enne algerino Fatah Melloul. Una passione smisurata per il calcio e l’opportunità di giocare, compatibilmente con gli impegni professionali, nella polisportiva multirazziale Nuova Aquila. Un club che, tremendo scherzo del destino, fa dell’integrazione tra culture ed etnie diverse il suo must. Un’integrazione che funziona. Non si dà pace Pali Gjeko, il factotum del club e anche presidente dell’omonima associazione Aquila di Ancona, che sostiene le famiglie albanesi nelle pratiche di accoglienza. "Klajdi era un ragazzo d’oro, credetemi – confessa al Carlino a più riprese – Lo adoravano tutti per la sua bontà. Era riservato, ma sempre solare e pronto a ringraziare. Capitava spesso che li andassimo a prendere, lui e il fratello, in zona stazione di Ancona. Abitavano in una casa in affitto e li portavamo, andata e ritorno, fino al campo sportivo di Torrette, dove giochiamo. Lui provava a sdebitarsi ed era grato. Ma per noi era un piacere che facessero parte della nostra famiglia. Non può essere morto così".
Ultimamente, Klajdi era molto preso dal lavoro nell’area portuale e in chiusura della scorsa stagione calcistica non era riuscito a giocare con regolarità: "Ma quando c’era si faceva sentire – ricorda il suo allenatore alla Nuova Aquila, Taieb Ferjani – Era un bel centrocampista, veloce e tecnico. Mi hanno chiamato tanti ragazzi, nostri tesserati stranieri dicendosi disperati per quello che gli è accaduto. Non possiamo pensare al fatto che non ci sia più. Mancherà tantissimo. È una disgrazia, non riusciamo a farcene una ragione e questo fatto ci ha distrutti", ribadisce. La società, raccolta la drammatica notizia nella tarda serata di domenica, ha subito attivato le pratiche per sostenere Xhuliano e i suoi parenti in Albania. "Proveremo ad avviare una raccolta fondi – continua Pali Gjeko – Dobbiamo fare la nostra parte per aiutarli". Un po’ come Klajdi faceva con i suoi cari più stretti: "Suo papà aveva subìto un incidente mentre lavorava e dopo una brutta caduta da un ponteggio aveva alcune difficoltà. Klajdi, per lui e la madre in Albania e per il fratello ad Ancona c’era sempre. Ecco perché era un ragazzo d’oro", conclude in lacrime.