La guerra in Ucraina in prima linea: "Io, inviato alla ricerca della verità"

L’"Ancona Foto Festival" oggi alla Mole ospita il giornalista Luca Steinmann che presenterà il suo libro

La guerra in Ucraina in prima linea: "Io, inviato alla ricerca della verità"

Il giornalista Luca Steinmann, ospite oggi (ore 18) dell’Ancona Foto Festival

Sono stati, sono e, purtroppo, saranno in tanti a parlare della guerra in Ucraina. Ma non tutte le ‘testimonianze’ sono uguali. C’è chi la guerra l’ha vissuta veramente, trovandosi nell’occhio del ciclone, per così dire, rischiando più volte la vita. Sul fronte, e non solo. Come Luca Steinmann, ospite oggi (ore 18) dell’Ancona Foto Festival, rassegna organizzata dall’associazione fotografica Il Mascherone. Nella Sala Boxe della Mole Vanvitelliana Steinmann presenterà il suo libro "Il fronte russo – La guerra in Ucraina raccontata dall’inviato tra i soldati di Putin" (Rizzoli). Opera preziosa, anche perché l’autore è stato uno dei pochissimi giornalisti ad aver avuto l’opportunità di seguire l’iniziale avanzata russa, prima che Mosca proibisse l’ingresso di cronisti e reporter in zona di guerra.

Steinmann, perché si trovava già ‘sul posto’?

"Si sapeva da settimane che la Russia stava schierando truppe al confine con l’Ucraina. Se c’era un punto ‘giusto’ dove stare questo era il Donbass".

Giornalista embedded con l’esercito russo, dunque?

"Embedded è un termine vago. Io in realtà ero libero di muovermi come volevo, anche perché giravo con diverse truppe. La sera, se volevo, invece di dormire nelle caserme potevo tornare a casa o in hotel".

Era più interessato alle vicende belliche o a raccontare le conseguenze sulla popolazione?

"Il mio lavoro era raccontare i bombardamenti sulle popolazioni, ma sono stato tantissime volte al fronte, muovendomi insieme ai soldati durante vere operazioni di guerra. E’ capitato che le bombe siano cadute al mio fianco. In una guerra così sanguinosa, in campo aperto, i rischi sono sempre tanti".

I suoi articoli sono stati mai censurati?

"No, pur avendo io la consapevolezza che quello che scrivevo veniva letto. Non mi è mai stato imposto di scrivere qualcosa. In ogni caso sono stato espulso più volte. Poi fortunatamente sono riuscito e rientrare. La seconda volta che sono stato espulso è stato il momento più duro. E’ accaduto da un momento all’altro, senza che mi fosse detto il motivo".

Tra chi ha commentato il suo libro molti hanno sottolineato la sua obiettività, il suo non essere schierato tutto da una parte.

"Io non ho parenti né in Russia né in Ucraina. Potrei dire che non sono i miei popoli. La differenza è che chi vive lì non ha scelta. Io posso andarmene quando voglio. Il fatto è che si creata una sorta di polarizzazione. Io non sono filorusso né filoucraino. Cerco di essere ‘filo verità’, raccontando quello che vedo".

Il festival è dedicato al fotoreporter Andy Rocchelli, ucciso in Ucraina. Lei ha perso delle persone a cui teneva?

"Sì, il giornalista russo indipendente Nikita Tsigaghi, ucciso da un drone ucraino. Aveva 29 anni. Un ragazzo bravo, estremamente generoso, coraggioso. Cercava sempre di arrivare nelle zone più calde del fronte, dove raccoglieva materiale spesso molto esclusivo. Era sempre alla ricerca di storie profonde, attraverso le quali spiegare la complessità di questa guerra, senza fare propaganda. Con lui se ne va un grande giornalista, che rimarrà nel cuore di chi lo ha conosciuto".

Raimondo Montesi