MARINA VERDENELLI
Cronaca

Info illecite su stranieri e targhe. Tre poliziotti rinviati a giudizio

Gli agenti di reparto mobile Senigalia e polizia di frontiera accusati di aver consultato i sistemi d’ufficio per assumere notizie ad uso "privato". Un quarto ha già scelto la messa alla prova. Gli imputati negano.

C’è chi chiedeva di avere in formazioni su stranieri, per sapere se avessero pendenze penali in corso, chi le avrebbe date senza capire prima a cosa servivano, chi avrebbe omesso un controllo di stranieri al momento del loro ingresso nel territorio italiano e chi addirittura avrebbe chiamato un collega per farsi controllare la targa di un veicolo con cui aveva avuto un incidente. Per la Procura tutte procedure che non erano attinenti al lavoro svolto in quel periodo. Per questo tre poliziotti, tra il reparto Mobile di Senigallia e la squadra operativa di controllo e di vigilanza della polizia di Frontiera di Ancona, sono stati rinviati a giudizio e dovranno affrontare un processo che si aprirà il prossimo 13 giugno del 2024 davanti al collegio penale. Le accuse, a vario titolo, sono accesso abusivo al sistema informatico, rifiuto di atti di ufficio, rivelazione del segreto d’ufficio e falso. Per alcuni i reati sono contestati in concorso e aggravati. Un quarto agente, ha scelto di fare la map e la giudice Francesca De Palma l’ha accolta. L’udienza preliminare era fissata per tutti gli imputati, difesi dagli avvocati Domenico Liso, Marco Giorgetti, Luca Pancotti e Marcellino Marcellini, ieri mattina. Ad affrontare il processo saranno due agenti della polizia di Frontiera, un siciliano di 49 e un anconetano di 60 anni, e un agente del reparto Mobile, 54enne, anconetano. La messa alla prova è stata accolta per un abruzzese di 51 anni in servizio alla polizia di Frontiera. In più occasioni, in mesi ed anni diversi, a partire dall’estate del 2015 fino ad arrivare all’autunno del 2017, avrebbero utilizzato il sistema informatico e telematico per accedere alla banca dati del sistema di indagine (Sdi), cercando informazioni su persone per lo più straniere. Questo non per attività di polizia ma perché, sostiene l’accusa, vi erano entrati in contatto per questioni private come l’affitto di una casa. A dare l’input all’indagine erano stati i numerosi accessi al sistema che pervenivano dal poliziotti del reparto Mobile ai colleghi della polizia di frontiera. I primi non avevano accesso diretto a tale banca dati e per farlo si dovevano appoggiare sui colleghi abilitati. Questi ultimi avrebbero omesso le verifiche opportune prima di divulgare le informazioni. Tra le contestazioni ci sono anche quella di aver attestato falsamente l’ingresso di un albanese nel territorio italiano in data 31 ottobre 2016, apponendo il timbro sul passaporto. Un poliziotto avrebbe fatto fare accessi per controllare lo stesso straniero ben 7 volte. Gli imputati rigettano le accuse e contano di fare emergere la verità al processo.