Andrea
Nobili*
Negli ultimi tempi il disagio giovanile rientra tra le problematiche che più attirano l’attenzione dei media e che, anche per questo, desta grande preoccupazione. La percezione diffusa è quella di una situazione che si avvicina pericolosamente ad una vera e propria emergenza sociale. Per questo la domanda da cui partire è la seguente: esiste davvero un’emergenza nelle Marche e ad Ancona? Certo, non si può nascondere che, purtroppo, un’escalation esiste. A confermarlo sono i servizi sociali che vedono crescere giorno dopo giorno il numero di ragazzi in carico e la mole di lavoro che è chiamata a svolgere la magistratura minorile, cui vanno riconosciuti meriti significativi. Al tempo stesso, andrebbe evitata da parte dei media una drammatizzazione eccessiva del tema. Si descrive una realtà in cui minorenni a rischio rappresentano una minaccia per la convivenza civile. Il tutto appesantito dall’abuso e dall’utilizzo non del tutto appropriato di termini quali bulli, baby-gang, sorveglianza, carcere. Ciò accade anche perché nel corso degli ultimi anni è cambiato radicalmente il clima nella pubblica opinione verso il disagio minorile, in particolare verso quello che sfocia nella trasgressione delle leggi. Con la politica che troppe volte preferisce semplificazioni securitarie a più complesse valutazioni sociali sulle cause che determinano le situazioni di devianza. Questo perché è più facile applicare dispositivi di videosorveglianza e invocare interventi repressivi, piuttosto che elaborare e declinare progetti di politica sociale all’altezza della complessità dei tempi che stiamo vivendo. La causa più frequente che spinge i ragazzi a commettere reati è legata alla fragilità del contesto familiare e sociale di appartenenza, ovvero a status di povertà materiale e culturale, che possono condurre all’emarginazione. E’ un dato di fatto che coloro che vivono in aree periferiche svantaggiate o appartengono a minoranze etniche incorrono i rischi maggiori. E l’emergenza sanitaria è stata un’ inquietante acceleratore del disagio relazionale e psicologico di tanti giovani. Una riflessione specifica va sviluppata sul versante delle politiche finalizzate all’integrazione dei giovani di origine straniera, che rappresentano una quota importante del fenomeno di cui stiamo parlando. Il pericolo è che anche dalla nostri parti emergano contesti devianti strutturati sulla base dell’appartenenza etnica. Occorre muoversi in controtendenza rispetto a quanto è accaduto nel corso del tempo, tornando a credere e a investire in politiche sociali che forniscano opportunità di inclusione anche per i giovani più difficili. La sfida non è semplice. Ma ci sono i punti cardinali che orientano una comunità che vuole davvero ritrovare se stessa e continuare ad affermare i valori della convivenza.
* avvocato, Presidente Camera minorile di Ancona