REDAZIONE ANCONA

Don Giovanni, un "ibrido" che convince

Arturo Cirillo ha portato in scena alle Muse la nuova produzione di Marche Teatro che non delude le aspettative

Arturo Cirillo e il suo «Don Giovanni» alle Muse

Arturo Cirillo e il suo «Don Giovanni» alle Muse

Dopo i ringraziamenti di rito a sponsor e istituzioni (e a Velia Papa che lo ha preceduto), è il nuovo direttore artistico di Marche Teatro, Giuseppe Dipasquale, a presentarsi al pubblico delle Muse di Ancona ringraziandolo per la sua fedeltà e garantendo rinnovato impegno per il futuro della scena dorica. Un teatro che continui ad essere, come da proprie tradizioni millenarie e diversamente dal solipsismo domestico di tanto intrattenimento odierno, un "fertile luogo di incontro e di scambio al servizio della comunità". Dovendo individuare, tra i tanti possibili, il più prezioso dei lasciti che la direzione uscente lascia in eredità alla nuova, è proprio quello del rapporto strettissimo intessuto, sia a livello produttivo che personale, con Arturo Cirillo, da enfant prodige ormai assurto al ruolo di rappresentante di spicco della tradizione capocomicale italiana (riveduta e corretta in salsa brechtiana) non a caso chiamato a inaugurare quest’ultima stagione firmata Velia Papa.

Questa volta la scelta dell’attore-regista campano è caduta sul Don Giovanni, non proprio quello "di" Moliere nè quello "di" Mozart-Da Ponte, ma "da" (la preposizione fa la differenza) un’ibridazione di entrambi fatta da Cirillo stesso che ne seleziona, adattandole, solo le parti gli interessano per delineare, tra le tante interpretazioni possibili di una figura quasi archetipica, quella dell’ateista militante fino alla blasfemia e quella del seduttore compulsivo multiplo (allusione al mestiere dell’attore stesso?) in grado di riconoscere, con istinto quasi bestiale, una presenza femminile nelle vicinanze solo dall’odore.

Ibrida anche la forma in cui convivono i versi di Da Ponte, sottratti alla sottomessa indecifrabilità del canto lirico e restituiti, attraverso un ben scandito recitar cantando, in tutta la loro scintillante perfezione, e le parti in prosa (maggioritarie) da Moliere, con anche qualche inserto canticchiato ma senza virtuosismi, perché del melodramma (inteso solo come fonte) interessa a Cirillo, come già altrove in precedenza, l’aspetto di festosa collaborazione tra le arti.

A tale collaborazione contribuisce la scenografia di Dario Gessati, semplicemente bipartita in orizzontale tra parte alta e bassa e animata da una scalinata mobile che consente la costruzione dei diversi ambienti e le luci di Paolo Manti in grado di condurre da atmosfere brumose abitate da spettrali presenze di gusto shakespeariano alle abbaglianti (in senso letterale) fiamme dell’inferno a cui è destinato l’impenitente libertino ridotto infine a contemplare l’orrore materialistico delle proprie azioni con la folle consapevolezza di un Kurtz coppoliano. Naturalmente si ride, e anche molto.

Tutti bravi, come sempre in Cirillo, gli attori e le attrici tra cui Giacomo Vigentini, nella parte di un arlecchinesco Sganarello combattuto tra rimorsi di coscienza e la necessità di servire un unico padrone particolarmente carogna e il fidato Rosario Giglio in grado di passare da un personaggio all’altro con una rapidità che rasenta il trasformismo.

Una stagione che ben comincia è già a metà dell’opera. Alle Muse di Ancona ancora stasera (ore 20,45) e domenica (ore 16,30). Lo spettacolo è una produzione di Marche Teatro insieme a Teatro di Napoli-Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro Fondazione -Teatro Nazionale.

Luigi Socci