Civitanova (Macerata), 22 novembre 2020 - Si fa fatica a pensare che dentro il Covid Hospital di Civitanova Marche fino all’anno scorso si svolgessero manifestazioni fieristiche. Una volta varcata la porta d’ingresso colpisce il freddo e il silenzio, rotto soltanto dai rumori degli impianti perennemente in funzione. Un corridoio in zona ‘verde’ o ‘pulita’ avvolge il nucleo della struttura sanitaria voluta dall’ex governatore, Luca Ceriscioli, ed ora quasi al massimo della sua potenzialità. Molti, tra cui l’ex capo della protezione civile, Guido Bertolaso, che la struttura l’ha realizzata, la chiamano l’Astronave, mentre altri usano un termine meno lusinghiero, ossia il ‘capannone’.
Discussioni e polemiche sulla realizzazione del Covid Hospital ci sono state e ci saranno. Adesso la sua funzione è importante, ma non si possono dimenticare i quasi sei mesi in cui è rimasto vuoto, pur sempre attivo, consumando risorse per quasi un milione di euro. Adesso, dopo il flop primaverile, funziona a pieno regime, sebbene con alcune conseguenze sul personale e sulla funzionalità degli altri ospedali dell’Area vasta 3 (provincia di Macerata). I sei reparti, o meglio i moduli Covid si trovano all’interno del perimetro, non si vedono e non si sentono. Ma ci sono. Esternamente può accadere di non imbattersi in anima viva, ma dentro i moduli sigillati, vivono, sopravvivono e lavorano almeno cento persone in contemporanea. Ci sono i pazienti, ieri erano 53, suddivisi in tre intensità di cura: terapia intensiva, semi-intensiva e non intensivi, ma ci sono anche anestesisti, medici, infermieri, oss, radiologi e altri. E poi loro, i pazienti. Entrando nei moduli 4 e 5 della struttura, si rivedono le scene drammatiche osservate nella prima fase della pandemia. I letti tecnici allineati e sopra uomini e donne intubati e incoscienti. Il virus ha attaccato i polmoni e poi tutto il resto in maniera identica rispetto a marzo ed aprile scorsi. Alcuni riposano in posizione supina, altri sono stati pronati e le modifiche della postura si ripeteranno ad intervalli fissi per evitare il formarsi di piaghe da decubito. I pazienti sono indotti in coma, al risveglio, nella speranza il quadro clinico migliori, ma sui loro volti si leggono chiari i segni della sofferenza. Il Covid-19 è una brutta bestia e chi continua a ritenere il Coronavirus un falso allarme forse si ricrederebbe osservando quanta sofferenza c’è dentro questa struttura. Negli altri moduli, dall’1 al 3, si trovano invece i soggetti positivi al virus, ma in condizioni di salute migliori. Nella parte semi-intensiva in molti sono tenuti sotto un casco, la cosiddetta Cpap, per migliorare ed agevolare la respirazione. Qualcuno peggiora e si rende necessario un trasferimento nei moduli intensivi, molti fanno il percorso inverso e dalla terapia intensiva passano fino al terzo livello dove i pazienti ancora positivi attendono solo il miglioramento definitivo e la possibilità di lasciare la struttura: "In questi giorni avrei dovuto assistere mia figlia che ha partorito a Milano e invece ho beccato il Covid e non so come – racconta una signora di Civitanova, volontaria della Croce Verde ricoverata nel modulo non intensivo –. Sono passata al pronto soccorso di Civitanova ed è stato un incubo, qui è un’altra cosa. Sono seguita amorevolmente e spero di poter presto uscire". Alberto (il nome è di fantasia) invece ha fatto il percorso virtuoso, dalla massima alla minima intensità e presto potrebbe trasferirsi in una struttura riabilitativa: "Qui dentro ’ho trascorso un mese, è stata durissima. Sono stanco ma i medici e gli infermieri sono fantastici, altrimenti non è facile andare avanti".
In terapia intensiva c’è meno ottimismo e tanta ansia. Tra i ricoverati, la cui età media si aggira tra i 50 e i 60 anni, c’è anche il caposala di un reparto dell’ospedale di Civitanova: "Quando l’ho visto arrivare è stato un trauma – racconta una dottoressa impiegata nello stesso reparto –. Ad aprile lui mi è stato vicino quando io ho preso il Covid, adesso me lo vedo lì in quelle condizioni".