
Una volante della polizia in servizio a Palermo. Il territorio è sempre molto ben controllato
Tre picciotti. Due sui 12-13 anni al massimo. Uno di dieci, in sella a un motorino, senza casco. Tutti con un’aria di sfida, pronti a marcare il territorio, quello di Brancaccio. Quartiere di confine di Palermo dove il fascino della mafia non demorde. Le baby gang recentemente hanno ostacolato anche la costruzione di un asilo nido nel nome di don Pino Puglisi che ha pagato con la vita il tentativo di togliere dalla strada centinaia di ragazzi del quartiere. I picciotti si sono presentati giovedì sera con aria strafottente davanti a una comitiva di insegnanti e studenti del liceo Rinaldini di Ancona. Per l’esattezza 118 persone, 110 ragazzi delle classi terze delle Scienze umane e otto insegnanti. In gita per un viaggio della legalità che difficilmente dimenticheranno. Un po’ per l’itinerario che li ha visti partire da Ancona in treno e ritornare dalla Sicilia sempre per via ferroviaria. Ma soprattutto per quello che è successo davanti alla casa museo di don Pino Puglisi. Due dei ragazzi di Brancaccio erano armati. Uno aveva un tirapugni.
"L’altro – racconta – il professor Marco Forni, insegnante di educazione motoria – roteava un coltello a serramanico. Marcavano il territorio. Si sono avvicinati a noi con aria di sfida senza che nessuno della nostra comitiva aprisse bocca. Uno mi ha detto di stare zitto. Ho cercato di parlare con loro, non volevano che stessimo lì. Mi hanno anche dato dei nomi che sicuramente saranno fasulli. Poi uno di loro – racconta ancora l’insegnante anconetano – mi ha mostrato un tirapugni". Il ragazzino non si è fatto pregare: "Ti faccio vedere io, stai zitto. Hai trovato pane per i tuoi denti". Ma a parte la minaccia, oltre non è andato. Nel frattempo i compari stavano lì fermi a guardare e uno di loro "ma io non l’ho visto, me lo hanno riferito i colleghi, aveva un coltello e lo roteava in segno di sfida. Se avessero voluto farci del male lo avrebbero potuto fare tranquillamente. Invece volevano solo far sentire la loro presenza". Perchè è così che le bande di ragazzini fanno in quartieri come questi. Gli studenti del Rinaldini, alcuni dei quali avevano già visitato la casa museo di Beato Pino Puglisi, stavano rientrando ai pullman. "Non si sono neanche resi conto di cosa stava succedendo. Più che a loro – dice ancora il docente – le minacce le hanno fatte a me. Ma nessuno qui ha avuto paura. Abbiamo parlato con loro, la situazione era chiara e ci siamo allontanati". La comitiva era accompagnata da tre guide. Una di queste ha voluto denunciare quanto accaduto. Dal tribunale di Palermo è arrivata una volante della polizia per offrire assistenza: "Si sono anche scusati con noi. Ma lo abbiamo toccato con mano nel nostro viaggio: Palermo non è questa".
Gli studenti, erano già stati in visita all’albero di Falcone, in via D’Amelio, simbolo delle stragi di mafia, alla casa di Peppino Impastato. La polizia ha offerto anche una scorta agli anconetani "ma non ne avevamo bisogno. Ci stavamo allontanando. Oggi siamo alla Valle dei Templi e di sicuro qui le scorte non servono " dice sorridendo Forni che non nasconde la sua meraviglia per lo scalpore provocato dalla notizia. La denuncia ha innescato prese di posizione nette. Come quella del vicepresidente della Camera dei Deputati Giorgio Mulè). "È una situazione ben chiara ai volontari del Centro Padre Nostro fondato da don Pino che portano con coraggio e valorosamente avanti la sua opera così come è lo è alle forze dell’ordine. Il prefetto di Palermo, Massimo Mariani - al quale va il plauso per l’azione di impulso incessante di contrasto alla criminalità in città - mi ha assicurato che il comitato per la sicurezza si occuperà della vicenda già la prossima settimana mentre proseguono le indagini per identificare i ragazzi responsabili della bravata di ieri" conclude Mulè.