REDAZIONE ANCONA

"Alla scoperta della nostra anima più scura"

Sergio Rubini porta in scena da oggi a domenica alle Muse "Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde" prodotto anche da Marche Teatro

"Alla scoperta della nostra anima più scura"

Sergio Rubini sul palco

Una ‘true crime story’ sul palco del Teatro delle Muse di Ancona. In realtà quello che va in scena da oggi (ore 20.45) a domenica è uno dei grandi classici della letteratura moderna, ‘Lo strano caso del Dr. Jekyll e di Mr. Hyde’ di Robert Louis Stevenson, ‘riletto’ da Sergio Rubini nelle triplice veste di regista, curatore dell’adattamento insieme a Carla Cavalluzzi e interprete, con Daniele Russo. Lo spettacolo è co-prodotto da Marche Teatro.

Rubini, il romanzo di Stevenson è considerato un testo anticipatore della psicanalisi. E’ su questo elemento che avete puntato? L’arte che intuisce quello che la scienza, o il pensiero razionale in genere, coglie solo successivamente?

"Sì, il libro di Stevenson si può considerare un ‘rozzo’ manuale di psicanalisi. Quello che gli interessa è il tema del doppio, molto vivo anche oggi. In realtà lo è sempre stato. Nell’Ottocento in particolare diventò una questione ‘palpitante’. Di lì a poco Freud avrebbe spazzato via tutti gli ‘ismi’ con cui si cercava affrontare certi fenomeni, dall’ipnotismo allo spiritismo. Noi in effetti abbiamo attualizzato la vicenda".

In che modo?

"Abbiamo spostato in avanti la storia, fino agli inizi del Novecento, quando Freud comincia a parlare di inconscio. Nello spettacolo il Dr. Jekyll non beve la pozione che lo trasforma in Mr. Hyde. Non c’è bisogno di pozioni per accedere alla parte oscura, nascosta di noi stessi, quella che condiziona il nostro agire. La rilettura in chiave psicanalitica fa sì che la parte ‘notturna’ dell’uomo si permetta di apparire insieme a quella ‘diurna’. Non dimentichiamo che il romanzo esce un paio d’anni prima delle vicende di Jack Lo Squartatore".

La psicanalisi ci insegna che la cosa peggiore è negare, reprimere la nostra parte oscura.

"Il Dr. Jekyll è assolutamente consapevole del male che c’è dentro di lui. E, attraverso la scienza, capisce che tra la parte notturna e quella diurna deve instaurarsi un dialogo. In effetti l’uomo dovrebbe liberarsi da una certa idea etica del male, dovrebbe comprendere che non c’è da una parte il bene e dall’altra il male. Nella parte maligna ci possono anche essere spinte ‘positive’, come la voglia di affermare se stessi nel mondo, e anche quella di nutrirsi".

Come riuscire a trovare un ‘equilibrio’? Non tutti possono permettersi di farsi aiutare da una figura terza come uno psicoterapeuta.

"Dobbiamo riuscire a individuare e conoscere la nostra parte negativa, a dargli un contorno. Dobbiamo pensare a questa parte oscura in modo ‘utilitaristico’, evitando di giudicarla. Questo ridurrebbe il rischio di fare effettivamente del male agli altri. Alla fine scopriremmo che per vivere bene c’è bisogno che anche il nostro dirimpettaio sia felice".

L’atmosfera dello spettacolo è davvero ‘noir’?

"Il clima è da noir, poliziesco. A me piace un teatro fatto di suggestioni, che parli alla mente ma anche alla pancia, che sia emotivamente coinvolgente".

Lei è uomo di cinema. Nell’allestimento ci sono suggestioni derivate dai film tratti dal romanzo?

"No, perché avrei avuto paura a farmi ispirare da opere che sono in gran parte dei capolavori. Anche per questo non ho mai cercato di imitare i grandi registi con cui ho lavorato, a partire da Fellini. Per me sono stati soprattutto dei maestri di vita".

Raimondo Montesi