Rovigo, 8 aprile 2014 - CAVANELLA Po è più rumena che italiana. Costeggiando l’argine del Po, dalla parte polesana, verso la foce, dopo Papozze, Bottrighe e Mazzorno, c’è un caseggiato che a prima vista sembra abbandonato, si chiama Borgo Fiorito. Illuminati dal sole, domenica mattina, colorati panni stesi. Lì abita qualche decina di famiglie di pescatori d’acqua dolce, rumeni. Bambini che giocano con le biciclette, ma poco movimento. «Non parlo italiano», dice un uomo grande e grosso. Vicino a lui ce n’era un altro, sguardo sospettoso. «Qui non c’è nessuno da intervistare. I pescatori sono al lavoro», e basta. A pochi passi la piazzetta, un piccolo parcheggio, due ristoranti, la strada che scende dall’argine divide Adria da Loreo.
«Siamo colonizzati. C’è da aver paura. Loro, quelli che stanno qui dietro, sono arrivati da un anno, un anno e mezzo. Ora sono i padroni», dice un avventore, del posto. Poco dopo, nel borgo entra dall’argine un furgoncino giallo e blu, la targa è rumena, distretto di Tulcea. Borgo Fiorito è nel comune di Adria. La proprietà è quasi tutta di Antonio Paglianti, imprenditore trevigiano. Lui dei rumeni parla benissimo: «Ci sono brave persone a Cavanella Po. So che stanno costruendo un albergo in Romania, sul Mar Nero. Mi stupisce l’inquietudine per questi rumeni perché gli italiani del posto sono molto peggiori». Paglianti racconta: «Ho comperato praticamente tutta Cavanella, con l’ex zuccherificio, dall’Eridania nel 1973, dal padre di Fabrizio De Andrè che era il presidente. Ho sistemato tutto e ora affitto gli appartamenti. Invece io sono stato derubato da un marocchino che si è messo d’accordo con gente del paese. E sto ancora subendo furti».
Paglianti osanna i rumeni: «Hanno trovato che Cavanella è strategica per la pesca. Sono persone normali e bravissime. Ora hanno comperato anche un capannone dove hanno messo la cella frigo per conservare il pesce. Gente del posto li ha derubati, si è fregata le loro barche. Gli stessi che avevano derubato me». Il progetto, naufragato di Paglianti era legato alla conversione a carbone della centrale Enel di Porto Tolle. «Dovevo fare un residence, ospitare gli operai, avevo contratti con il Consorzio Polesine. Un’area turistica da 70mila metri. Già i prezzi concordati – racconta con rabbia –. ma la centrale non l’hanno voluta per colpa del riscaldamento del pianeta che è una bufala. Leggendo la storia mille anni fa si scopre che il pianeta era più caldo di adesso. La Groenlandia era una terra verde. Ora è ghiacciata».
Tommaso Moretto
Intervista a Gianluca Milillo: "Stanno devastando il grande fiume"
«SFRUTTAMENTO intensivo distruttivo del fiume Po, è questo che sta accadendo per colpa di una politica gestionale della pesca professionale completamente sbagliata». A sostenerlo è Gianluca Milillo, 41 anni, tecnico ambientale, giornalista, pescatore sportivo di Pescara con una grande passione per il Polesine.
Cosa sta succedendo sul Po?
«Cittadini stranieri stanno distruggendo il Po. Un effetto collaterale di alcuni gemellaggi e dell’inadeguatezza della provincia di Rovigo che non richiede requisti tecnici e garanzie a chi vuole fare pesca professionale nelle sue acque. Non si sono resi conto che dalla Romea verso il mare c’è un tipo di ecosistema, dalla Romea a monte un altro. Il primo è in equilibrio con la pesca. Nel secondo, si sta distruggendo».
Di quali gemellaggi parla?
«Quelli tra il delta del Danubio e il delta del Po. E in particolare quelli tra Tulcea e Rovigo. Nel delta del Danubio hanno ristretto molto le maglie. Puntano sul turismo. Rovigo permette di fare ai rumeni quello che nella loro patria non è più permesso».
E che cosa fanno?
«Non hanno limiti nella captazione di pesca, non seguono protocolli sanitari. Pescano ovunque. Utilizzano sistemi di captazione come reti, corrente elettrica e altri tipi di trappole che non sono selettive».
Sono una particolare etnia?
«Si sono lipoveni di etnia russa, insediatisi nel periodo Ceausescu nel delta del Danubio».
Il Po sta male?
«Molto male. I dati dei pescatori sportivi dell’ultimo anno sono allarmanti. C’è stato un 80 per cento in meno nella captazione. L’intero ecosistema ha subito un danno. Sono state rilasciate le licenze senza valutare prima l’impatto ambientale, la sostenibilità sul territorio».
t. m.
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