Rimini, 10 luglio 2010 -La Corte costituzionale chiude la partita: i sette Comuni dell’Alta Valmerecchia, staccatisi col referendum del 2006 dalle Marche, restano accorpati all’Emilia-Romagna. Con la sentenza depositata due giorni, infatti, la Suprema corte ha giudicato "infondato” il ricorso della Regione Marche sulla presunta illegittimità costituzionale della legge approvata dal Senato nel 2009, che aveva sancito l’aggregazione all’Emilia-Romagna e l’assegnazione alla Provincia di Rimini dei Comuni di Casteldieci, Maiolo, Novafeltria, Pennabilli, San Leo, Sant’Agata Feltria e Talamello.
A nulla è valsa la maxi-memoria difensiva depositata dalle Marche. La Consulta non ha accolto nessuna delle due obiezioni presentate. Innanzitutto, secondo la Regione il procedimento legislativo che aveva portato al passaggio in Emilia-Romagna dei sette Comuni era viziato dalla “mancanza di considerazione ufficiale e conoscibile”, nell’iter parlamentare, del parere (negativo) espresso dall’Assemblea legislativa delle Marche sul distacco. Per la Regione, infatti, alle considerazioni del proprio “parlamentino” e’ stato riconosciuto “un peso trascurabile”. In altre parole, il Parlamento si sarebbe semplicemente allineato al via libera concesso dall’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna.
Di tutt’altro parere la Consulta. “Questa Corte non ritiene - si legge nel dispositivo depositato oggi - che la ‘sicura incidenza’ che i pareri espressi dalle Regioni vengono ad avere nell’ambito della procedura prevista possa concretizzarsi nell’esistenza a carico del Parlamento di ulteriori oneri procedimentali susseguenti alla espressione del parere ed alla sua acquisizione in sede parlamentare”.
Perché ciò “equivarrebbe ad inserire un ulteriore aggravamento della procedura non richiesto” dalla Costituzione. Oltretutto, precisa la Corte, “l’esame degli atti parlamentari evidenzia che tali pareri erano ben conosciuti” e “che il diverso contenuto dei due pareri e’ emerso anche durante lo svolgimento dell’indagine conoscitiva” affidata alla commissione Affari costituzionali della Camera.
Niente da fare anche per la seconda questione d’illegittimità sollevata dalla Marche. Per la Regione sarebbe venuto meno il principio di leale collaborazione istituzionale, dal momento che “il rispetto e la considerazione di chi ha reso il parere comportano necessariamente che tale atto sia espressamente esaminato e che chi lo ha reso sia messo nelle condizioni di conoscere le ragioni in virtù delle quali le Camere si siano determinate in senso difforme”.
Insomma, il Parlamento doveva ‘pubblicizzare’ con una comunicazione formale le ragioni che avevano suggerito di approvare lo scorporo dell’Alta Valmerecchia dal territorio marchigiano. Ma la Consulta risponde in punta di diritto: “La previsione di un onere di informazione- recita ancora la sentenza- si risolverebbe in un appesantimento della procedura di approvazione della legge che dispone la variazione territoriale, non giustificato da alcuna norma di rango costituzionale”.
Nella contesa si era inserito anche Silvio Berlusconi. Il presidente del Consiglio, attraverso l’avvocatura dello Stato, aveva infatti ribadito la regolarità dell’iter parlamentare. Da un lato la presunta “valorizzazione” dei pareri delle Regioni “non è quantificabile” e comunque “è priva di riferimenti costituzionali”. Dall’altro, la procedura legislativa “richiede la mera acquisizione dei pareri dei Consigli regionali e non anche che sia motivato il superamento del parere contrario al distacco territoriale”.
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