Reggio Emilia, 10 aprile 2012 - Castelli e duelli, elfi e hobbit, foreste incantate e creature fantastiche. E, su tutto, la ricerca di un misterioso anello su cui poggia il destino della Terra di Mezzo.
Facile, per gli appassionati di narrativa e di cinema, affermare che tutte le tracce portano a “Il signore degli Anelli”, romanzo di Tolkien il cui successo è stato ulteriormente amplificato da tre film.
Meno scontato, invece, correlare alla religione cristiana i curiosi personaggi visti sul grande schermo e apprezzati fra le pagine. Un accostamento che fa discutere e che viene fatto da Greta Bertani, autrice di Reggio titolare a Sassuolo di un’agenzia per traduzioni, con il libro «Le radici profonde. Tolkien e le Sacre Scritture» (Il Cerchio).
Com’è nata l’idea di una ricerca su Tolkien e le Sacre Scritture?
«Dopo la maturità classica conseguita a Reggio al Liceo Ariosto, mi sono laureata in Letteratura inglese a Bologna con una tesi su Tolkien. Proprio preparando la tesi, mi sono resa conto di elementi che immediatamente richiamavano episodi e situazioni narrate nella Bibbia. Ma l’opportunità di scrivere qualcosa sull’argomento è nata solo più recentemente».
Ci faccia un breve profilo di Tolkien…
«Nato nel 1892, insegnava filologia a Oxford. Aveva una grande passione per i miti e le lingue antiche. Per quanto riguarda l’aspetto religioso, era profondamente cristiano, introdotto al cattolicesimo dalla madre in un’epoca in cui, in Inghilterra, non era facile essere cattolici. Si è spento nel 1973».
Possibile che “Il Signore degli Anelli”, che pullula di battaglie, mostri e creature di un mondo “altro”, contenga un substrato religioso?
«Non era sua intenzione scrivere un romanzo cristiano. Desiderava semplicemente un ‘mito per la sua Inghilterra’, che lo entusiasmasse quanto i miti nordici che era abituato a leggere. Diciamo che il cristianesimo entrò nella sua narrativa dalla porta secondaria. E, allargando il discorso, possiamo dire che dopotutto anche nella nostra vita quotidiana ci sono battaglie: contro il male, le difficoltà, le malattie. Insomma, anche noi siamo un po’ come i guerrieri di Tolkien».
In Tolkien, al quale si devono pure “Il Silmarillion”, “Lo Hobbit”, saggi e lettere, dove troviamo la contrapposizione fra male e bene, fra la dannazione e la salvezza?
«L’intera opera è pervasa da queste componenti. Uno dei personaggi più significativi a questo proposito è Gollum, un essere viscido ed infido, che tradirà Frodo. Anche a lui viene però data una possibilità di redenzione. Arriva ad un soffio dalla salvezza, ma non trova dentro sé forza e speranza sufficienti per compiere l’ultimo passo».
E dove emergono chiare componenti cristologiche?
«Appaiono in maniera netta proprio nel ‘Signore degli Anelli’. Possiamo comunque ritrovarne qualche traccia anche in una grande mitologia che Tolkien scrisse durante tutta la sua vita e pubblicata postuma dal figlio Christopher. E’ ‘Il Silmarillion’, una raccolta epica di storie che vanno dalla creazione del mondo fino all’epoca in cui si svolgono i fatti del ‘Signore degli Anelli’. Lì ci sono le vicende di Earendil, Beren e Luthien, che hanno forti rimandi cristologici».
Com’è stato accolto il suo lavoro?
«Ho avuto riscontri positivi da lettori credenti e non, da sacerdoti e laici. Sembra che non abbia irritato nessuno. E visto l’argomento, è già un successo».
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