Reggio Emilia, 28 marzo 2013 - Papa Francesco ha autorizzato la beatificazione di 63 servi di Dio, in gran parte martiri del nazismo e del comunismo. Tra essi c'è anche Rolando Rivi, seminarista vittima dei partigiani rossi nel 1945 a Piane di Monchio.
Tra le storie di violenza anticristiana che Papa Francesco si e’ studiato in questi giorni quella che piu’ colpisce riguarda certamente Rolando Rivi, che quando fu ucciso era poco piu’ di un bambino, aveva 14 anni appena.
Nato il 7 gennaio 1931 a San Valentino di Castellarano e’ il primo seminarista di un seminario minore diocesano a essere proclamato beato perche’ martire, vittima di un periodo storico tra i piu’ controversi, quello guerra civile e della Resistenza. “In questa causa e’ in gioco non solo il riconoscimento della santita’ di vita e del martirio di Rolando, ma e’ in gioco molto del destino della Chiesa, non solo in Italia”, aveva affermato recentemente monsignor Luigi Negri, arcivescovo di Ferrara. Nel maggio scorso, con un giudizio unanime e in tempi rapidi, i teologi della Congregazione delle Cause dei Santi avevno riconosciuto il martirio di questo adolescente riconoscendo che come i centotrenta sacerdoti uccisi in odio alla fede cattolica dai partigiani comunisti, soltanto perche’ la talare che indossavano li faceva considerare loro nemici.
“Diventera’ un mascalzone o un santo”, diceva la sua nonna, quando da bambino lo vedeva dividersi tra l’eccessiva esuberanza e le preghiere recitate con una devozione che lasciava stupiti per la sua giovanissima eta’. A undici anni, subito dopo la Cresima, senti’ improvvisa la chiamata del Signore: “Voglio farmi prete per salvare tante anime. Poi partiro’ missionario per fare conoscere Gesu’ lontano”, disse ai genitori che assecondarono la sua vocazione, e all’inizio del 1942, lo mandarono nel Seminario di Marola, a Carpineti, in provincia di Reggio Emilia, per frequentare le scuole medie e per iniziare gli studi che un giorno lo avrebbero fatto diventare prete.
In seminario indosso’ con orgoglio l’abito talare, considerandola il segno dell’appartenenza a Cristo e alla Chiesa e non se ne separo’ sino alla morte, portandola anche quando l’Italia era divisa da un odio fratricida diffuso dai comunisti che consideravano i sacerdoti nemici da uccidere. Ma il suo sogno di diventare prete si spezzo’ nel 1944 quando i tedeschi occuparono il seminario di Marola e tutti i ragazzi dovettero tornare nelle loro case e continuare gli studi da soli.
Rolando Rivi rientro’ a San Valentino ma continuo’ a indossare la talare. “Rolando, non portarla ora. E’ piu’ sicuro se vai in giro per il paese con gli abiti civili”, gli consigliavano i genitori preoccupati per le continue scorribande nelle loro campagne di tedeschi, fascisti e partigiani. Ma il ragazzo non li ascoltava mai: “Studio da prete e la tonaca e’ il segno che io sono di Gesu’”, rispondeva con determinazione, dividendosi sempre tra la chiesa, la casa e un boschetto dove andava a studiare. Fece cosi’ anche il 10 aprile 1945, ma quel giorno non torno’ a casa. E quando, non vedendolo arrivare, i genitori andarono a cercarlo, trovarono a terra i libri e un biglietto: “Non cercatelo, viene un momento con noi partigiani”.
Si misero a cercarlo dovunque. Quattro giorni dopo un partigiano che aveva assistito alle ultime ore di vita del ragazzo, tentando di opporsi alla sua fine, confesso’ che cosa era accaduto: Rolando Rivi era stato sequestrato, torturato e ucciso a Piana di Monchio, sull’Appennino modenese. Era successo il 13 aprile 1945, fu ritrovato, su indicazione del partigiano comunista pentito, il giorno dopo da suo padre e da quel momento divenne il simbolo dell’amore per Dio. Sono trascorsi quasi settant’anni da allora ma sulla sua tomba all’interno dell’antica Pieve di San Valentino, a Castellarano, ancora oggi , ogni giorno, decine di persone vanno a pregarlo e domandargli una grazia.
(Agi)
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