Reggio Emilia, 30 novembre 2011 - ERA UN FATTO concreto l’avvicinamento di Rachida Radi alla fede cristiana. Ed è forse proprio questo aspetto ad aver inasprito lo scontro col marito, Mohamed El Ayani, tanto da trasformarlo in un assassino che ha ucciso a martellate la moglie, il 19 novembre scorso, nella loro abitazione a Sorbolo di Brescello. Anche l’onorevole Souad Sbai, parlamentare del Pdl, originaria del Marocco e da molti anni attenta ai problemi delle donne, inizialmente non era convinta di questa versione.
Ma dopo una pur breve visita a Brescello, si è resa conto della realtà dei fatti.
Onorevole Souad Sbai, c’è dunque una specie di conversione religiosa alla base della violenza che ha ucciso Rachida?
«Pare di sì. Le persone che l’avevano frequentata parlano in questo senso. Lei era innamorata della cultura italiana. E forse era attratta anche dalla religione più diffusa in questo Paese. Il marito ce l’aveva con lei perché non praticava più la religione islamica come prima, non seguiva i dettami religiosi che lui voleva imporre. Anche se questo, ora, potrebbe diventare pericoloso per le due figlie piccole. Basta il sospetto di un avvicinamento alla scelta del Battesimo per provocare reazioni poco felici».
In che senso?
«Per molti, nei Paesi islamici, va bene la conversione da cristiano a musulmano. Ma non il contrario. Le figlie di Rachida, in Marocco e nel mondo arabo in generale, verrebbero viste con diffidenza, andando incontro a una vita molto difficile. Rischierebbero perfino la morte, in quanto figlie di una… convertita. Per questo vanno difese, salvaguardate. Il loro futuro deve restare qui, in Italia. E non in Marocco, dove i loro parenti vorrebbero portarle».
E’ questa la volontà manifestata dalla famiglia Radi?
«Sì. Dai primi contatti avuti con i genitori di Rachida emerge l’intenzione di portare i resti della figlia in Marocco. Così come le due bambine di 4 e 11 anni. Ma loro sono nate e cresciute in Italia. E qui che dovrebbero restare. Questo era pure il desiderio della loro mamma».
Le risulta che pure Rachida volesse restare per sempre in Italia?
«Lei avrebbe certamente voluto essere sepolta qui, a Brescello, dove si stava integrando, dove aveva intrapreso un percorso culturale e di fede ben definito».
Invece non sarà così…
«La decisione spetta ai suoi genitori, in arrivo dal Marocco per riprendere la salma. Ma temo che alla fine sarà portata nella sua terra d’origine».
E le bambine?
«Come Acmid, Associazione donne marocchine in Italia, di cui sono presidente, faremo di tutto per farle stare qui in Italia. Famiglie disposte all’affidamento ce ne sono già molte: italiane ma anche nordafricane. Non ci sarebbero problemi in tal senso. Sto per recarmi al tribunale dei minori di Bologna per chiedere notizie sulle condizioni delle due bambine e per sottolineare la situazione e i rischi a cui andrebbero incontro in caso di un loro affidamento ai familiari, in Marocco».
Sarete parte attiva, come associazione, nel procedimento contro il marito di Rachida?
«Abbiamo già annunciato l’intenzione di costituirci parte civile. Con i nostri legali stiamo cercando le soluzioni migliori». Lei ha incontrato i brescellesi. Che impressione ha avuto?
«Gente cordiale, che voleva bene a Rachida. Il sindaco Giuseppe Vezzani è molto attivo su questa vicenda. Sta facendo tutto il possibile, soprattutto per il futuro delle due bambine. Ora è su di loro che dobbiamo concentrare le nostre attenzioni. Tutti insieme».
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