Reggio, 7 novembre 2011 - Lillian Ramirez Espinosa, 12 anni appena, viene reclutata all’uscita della scuola, insieme a un’altra minorenne, per partecipare a un festino privato: sesso, alcol e droga. E’ il 14 maggio del 2010. La madre non la vede rientrare e va alla polizia a dichiarare la scomparsa. Quattro giorni dopo, alla periferia della città, nella provincia orientale dell’isola caraibica chiamata Granma, gli abitanti del posto vedono un cane con in bocca un pezzo di braccio di una bambina. Scatta una massiccia ricerca. Il corpo di Lillian viene trovato il 19 sotto un cumulo di detriti: morta per asfissia e per l’uso di alcol e droga, stabilirà poi l’autopsia.

A BAYAMO scatta una poderosa retata. Finiscono in carcere una decina di cubani e tre italiani: Simone Pini, 44 anni, di Firenze, Luigi Sartorio, 45 anni, di Vicenza, quest’ultimi rientrati a Cuba, e Angelo Malavasi, 46 anni, originario di Mirandola (Modena) ma residente a Casalgrande (Reggio Emilia). Venerdì le autorità cubane hanno fatto conoscere la sentenza: 25 anni di carcere per Angelo Malavasi (omicidio e corruzione di minorenne), 20 anni per Luigi Sartorio (corruzione di minorenne), 25 anni per Simone Pini (omicidio e corruzione di minorenne).
TUTTI e tre gli italiani si dichiarano innocenti: Pini e Sartorio si trovavano in Italia quando Lillian partecipava alla festa, Malavasi era a Cuba, ma altrove. In più occasioni i tre italiani hanno dichiarato che la polizia cubana ha loro estorto dichiarazioni accusatorie. La blogger Yoani Sánchez, che ha incontrato Pini in carcere, parla di manipolazione di prove da parte della polizia cubana.

 «IO NON C’ENTRO nulla con questa storia. Ero a Cuba in quel periodo ma al festino non ho mai partecipato». E’ Angelo Malavasi, 46 anni, orologiaio di successo, originario di Mirandola (Modena) e residente a Casalgrande (Reggio Emilia), che parla dal carcere La Condesa, alla periferia della capitale L’Avana. Già il carcere cubano: impenetrabile, difficile ad accedervi ma dove è possibile chiamare, parlare con un detenuto.
Quando ha saputo della condanna a 25 anni di carcere per omicidio e corruzione di minorenne?
«Venerdì pomeriggio. E’ arrivato uno della polizia e mi ha notificato la sentenza. Sono crollato, non me l’aspettavo».
Cosa si attendeva?
«Durante il processo ho presentato diverse prove della mia innocenza, a cominciare dal mio passaporto: c’era un trimbro dell’ingresso a Panama, non potevo aver commesso quello che loro dicevano perché ero altrove».
Non le hanno creduto
«No, peggio mi hanno ridicolizzato e preso in giro. Mi hanno detto che il timbro non si leggeva bene».
E per i testimoni?
«Che non erano credibili perché erano miei amici e dunque inaffidabili. E intanto adesso ci sono 25 anni da scontare in un carcere cubano, ve lo immaginate? Io innocente in carcere. Dovete fare qualcosa in Italia, dovete toglierci da questa situazione, io, Pini e Sartorio: siamo tutti e tre innocenti e tutti e tre in carcere senza motivo. E’ una cosa assurda, le autorità italiane devono fare qualcosa».
Avete in mente qualche azione? Uno sciopero della fame? O che altro?
«La botta è così fresca che non abbiamo preso ancora una decisione. Ho sentito Sartorio è giù, ha il morale a terra, ma ha intenzione di fare qualcosa. Forse un suo parente andrà a incatenarsi a Roma: vuole che i politici e le autorità prendano coscienza del caso e facciano qualcosa. Lo sciopero della fame? Non servirebbe a nulla. Ho visto altri casi, non hanno prodotto nulla di buono».
Su cosa punta?
«Sull’appello alla Corte Suprema. Se i cubani vogliono davvero fare chiarezza su questo caso, se davvero vogliono fare giustizia, hanno tutti gli elementi per prendere una decisione giusta. Negli atti del processo ci sono tutti gli elementi per raggiungere la verità. Io credo che la Corte Suprema saprà fare giustizia. A Bayamo, dove si è svolto il processo, c’era un clima di odio nei nostri confronti e questo può avere fatto prendere decisioni sbagliate, ma all’Avana no, i giudici possono prendere le loro decisioni lontani da quel clima».
Mirate a scontare la pena in Italia?
«Ieri un agente del carcere si è avvicinato e mi ha battuto una mano sulla spalla: te ne andrai in carcere in Italia, mi ha detto. Io miro all’assoluzione piena, totale perché io non ho fatto nulla».
Ci sono state pressioni durante gli interrogatori? Siete stati picchiati?
«E’ meglio non affrontare questo discorso. Posso solo dire che a me e agli altri sono state fatte promesse se firmavamo una certa dichiarazione...».
Con chi è in cella?
«Con altri due stranieri. Il carcere dove sono ospita solo stranieri. Sono un colombiano e un jamaicano: sono stati condannati al carcere perpetuo per droga».
Cosa le manca?
«La libertà. Mi manca ancora di più perché sono innocente».
Qual è la sua speranza?
«Che la giustizia, quella vera, un giorno trionfi».