ALESSANDRA CODELUPPI
Cronaca

«Io artigiano dipendente dalle slot: stavo perdendo famiglia e soldi»

Un reggiano di 50 anni: «Pura adrenalina, non pensavo ad altro». Triplicati in tre anni i giocatori patologici seguiti dal Sert

L’associazione Papa Giovanni XXIII gestisce la comunità ‘Pluto’: dal 2013 ha accolto 106 giocatori

Reggio Emilia, 24 ottobre 2016 – «Mi sono sempre vantato di essere una persona con la testa sulle spalle, sin da giovane». Comincia così il racconto di Michele, reggiano, 50 anni: artigiano, malato di gioco, si ritrova in procinto di perdere tutto e soltanto grazie alla presa in carico da parte della comunità Papa Giovanni XXIII risale la china. I giocatori patologici presi in carico dai servizi sono in grande aumento. Nel 2012 quelli seguiti dal Sert di Reggio erano 46, nel 2013 sono diventati 92 per passare a 106 nel 2014 e a 132 nel 2015. L’associazione Papa Giovanni XXIII, che ha avviato i gruppi per giocatori nel 2000, oggi gestisce quattro gruppi settimanali. Da allora al 2015 i giocatori seguiti sono stati 904 e le richieste di aiuto oltre 1.500. La Papa Giovanni gestisce una delle tre comunità in Italia convenzionate con i servizi pubblici. Dal 2013, anno di apertura della comunità ‘Pluto’, i giocatori accolti sono stati 106.

«Dopo il matrimonio – racconta Michele – qualcosa cambiò: la routine, i due figli gemelli che richiedevano un’attenzione eccessiva, il lavoro che mi portava spesso lontano da casa e una moglie che chiedeva molto quand’ero presente. Quando poi le cose cominciarono ad andare male anche economicamente fu l’inizio del baratro. La mia azienda, per colpa di un socio che voleva lavorare molto con l’estero, si ritrovò indebitata fino al collo e io capì che le banche avrebbero potuto prenderci tutto, la ditta, la casa e tutto il resto».

Da qui la caduta nella dipendenza da gioco: «Mi servivano soldi e soprattutto mi serviva smettere di pensare a tutto questo. Il gioco d’azzardo e l’improvvisa vincita inaspettata a una slot mi sembrarono la soluzione. Quando giocavo sentivo solo l’adrenalina del gioco e ogni volta che vincevo era una festa, mentre dimenticavo istantaneamente i soldi che perdevo. Iniziai a giocare sempre di più: anche alcuni hobby che mi avevano sempre appassionato, come l’allevare api, diventarono pesi superflui. Non mi preoccupavano più i debiti con le banche, mi preoccupava solo il riuscire a trovare costantemente soldi per giocare e scuse per continuare a nascondere a tutti ciò che facevo».

Sfiorare la morte gli fece invertire la rotta: «Fu solo con il piccolo infarto che ebbi a 45 anni che capii cosa stavo facendo. Tramite internet trovai le indicazioni della comunità Papa Giovanni XXIII: fui accolto nella comunità Pluto, struttura specialistica per giocatori compulsivi. Sono già passati un paio d’anni da quando ho terminato il percorso e da allora sono riuscito a non giocare mai più. Non che non ne abbia più sentito il desiderio, il fatto che il gioco d’azzardo sia continuamente pubblicizzato in ogni luogo e in ogni orario certo non aiuta; ma ho capito che c’è molto più da perdere che da guadagnare e che la vita può essere bellissima anche e soprattutto senza»