Reggio Emilia, 7 gennaio 2017 - Uno snaturamento della mission, per dirla con un termine aziendale che però riporta a una parola che è anche religiosa, ’missione’. I libri contabili preferiti a quelli sacri, al Vangelo. «La Dimora d’Abramo non rispetta gli ideali che si era prefissata quando nacque. Abramo sotto la propria tenda accoglieva tutti. Invece ora la cooperativa se ne frega di profughi e poveri». È un duro j’accuse quello di Giulio Iotti, 85 anni, fondatore e presidente dal 1990 al 2005 della cooperativa.
Dopo aver esternato anche in passato la propria contrarietà rispetto alla gestione della cooperativa che nella nostra provincia si occupa di accoglienza ai migranti, Iotti ha deciso di lasciare definitivamente pochi giorni fa, il 22 dicembre, spiegando le ragioni dell’addio in una lettera indirizzata all’attuale presidente Luigi Codeluppi. Come lui, altri tre sacerdoti hanno mostrato in passato perplessità verso la gestione: si tratta di don Daniele Simonazzi, don Eugenio Morlini e don Giuseppe Dossetti, tra i fondatori di questa realtà. Don Dossetti ha lasciato la cooperativa quest’estate, mentre don Morlini sarebbe voluto rimanere solo come volontario. «Quando abbiamo fondato la Dimora d’Abramo, insieme al vescovo di allora Gilberto Baroni, volevamo che questa realtà fosse condotta secondo lo spirito del Vangelo, attento ai poveri e agli ultimi. Nei primi anni, tra il 1991 e il 1993, ospitammo una trentina di albanesi, senza ricevere contributi dello Stato – racconta Iotti –. Con l’aiuto della Regione, che contribuì per il 60% alle spese, abbiamo poi costruito nel 2000 una struttura per l’accoglienza dei minori in via Normandia. Così come nel momento della nostra nascita, ci fu un grande concorso di generosità dal mondo della chiesa, dai cittadini e dalla famiglia Maramotti».
La svolta, secondo Iotti, risale al 2005, «quando venne eletto presidente Luigi Codeluppi. In realtà a me sarebbe dovuto subentrare Mimmo Spadoni, ma lui divenne assessore ai tempi della giunta Delrio e così intraprese un’altra strada. Codeluppi voleva apportare novità – sostiene Iotti – ma con lui è cominciato un periodo di declino anche ideale».
Quali sono i punti che l’ex presidente critica? C’è la gestione del personale: «Chi non condivideva l’indirizzo del nuovo presidente veniva mortificato, così alcuni hanno lasciato». Poi c’è il patrimonio immobiliare: «La Dimora, con le parrocchie e le associazioni, aveva 7-8 appartamenti di proprietà: a Villalunga di Casalgrande le parrocchie hanno dato il via libera all’acquisto di tre appartamenti da parte di stranieri, così come di altri quattro a Castellazzo. Bene la vendita agli stranieri, ma il patrimonio dei poveri della città andava reinvestito e non distrutto».
Poi ci sono i conti: «Sono troppi 900mila euro di utili dell’ultimo bilancio: non si possono guadagnare cifre tanto alte sulla pelle dei migranti, mentre con i ragazzi si sono trascurate l’assistenza e l’educazione. Così non è più una cooperativa sociale, ma di servizi, che tradisce il suo spirito originario. Abramo nella sua tenda accoglieva tutti, mentre questa Dimora non assolve l’impegno di mettere a disposizione qualcosa per la povera gente».
Ma la Diocesi si interessa della gestione? «Con l’ex vescovo Adriano Caprioli c’era dialogo. Abbiamo cercato di coinvolgere l’attuale vescovo Massimo Camisasca ma non è sembrato troppo interessato...».