ANDREA COLOMBARI
Cronaca

Bancarotta fraudolenta, fermato l'ex vicesindaco Musca

In stato di fermo anche il figlio e la compagna. La Procura “Pericolo di fuga, volevano trasferirsi in Svizzera”

Giuseppe Musca, 66 anni (foto Zani)

Ravenna, 12 luglio 2016 - Padre e figlio sono stati portati in carcere a Ravenna. Mentre la compagna del primo è stata condotta in quello di Forlì. Un ciclone giudiziario quello che nella notte tra domenica e ieri si è abbattuto sulla famiglia del noto immobiliarista Musca.

Il decreto di fermo vergato dalla procura per pericolo di fuga, è stato notificato dalla guardia di Finanza al 66enne Giuseppe Musca, di origine palermitana e negli anni ’80 vicesindaco a Ravenna per i Socialisti; al figlio Nicola, 36 anni, imprenditore; e alla compagna Susy Ghiselli, 47 anni, commercialista. I finanzieri hanno contestualmente eseguito perquisizioni utili all’inchiesta.

Tutto perché secondo l’accusa, i tre avrebbero manifestato la volontà di cedere parte del loro patrimonio per andare ad abitare in Svizzera. La contestazione nasce da uno sviluppo investigativo del fascicolo per bancarotta fraudolenta da 32 mlioni di euro aperto dai pm Alessandro Mancini, Monica Gargiulo e Lucrezia Ciriello: lo stesso che a metà aprile scorso aveva portato al sequestro del noto e omonimo albergo di via Mattei, un quattro stelle superior, oltre che di otto appartamenti di un complesso immobiliare di Glorie di Bagnacavallo.

Il canovaccio accusatorio vede al centro di tutto il fallimento di due note società: la ‘Arca srl’ e la ‘Romauto’. Tra gli elementi raccolti sin qui dagli inquirenti, spiccano 12 milioni di euro di finanziamenti che Unicredit banca nel marzo del 2009 aveva erogato all’Arca proprio per realizzare il blasonato hotel. E che invece il 66enne avrebbe in larga parte usato per sé e per le proprie società. L’accelerazione al caso è giunta in ragione di recenti intercettazioni telefoniche grazie alle quali la procura ha isolato la presunta volontà dei Musca di andarsene da Ravenna.

Conversazioni captate tra il 66enne e la 47enne restituirebbero in particolare ricerche di immobili da affittare a Chiasso, comune svizzero situato nel Canton Ticino, al confine con l’Italia, per il quale – in questo caso vengono tirati in ballo il 36enne e la 47enne – c’era stato un interessamento a reperire quella documentazione necessaria al fine di ottenere il permesso di domicilio.

Da ultimo, sempre secondo gli elementi raccolti dalla procura, i Musca si sarebbero attivati per cedere sia una villa a Glorie di Bagnacavallo che un immobile in centro a Ravenna: il tutto sempre nell’ottica di un imminente trasferimento in Svizzera.

A questo punto per i tre – difesi dagli avvocati Luigi Stortoni, Maurizio Merlini, Ermanno Cicognani e Giovanni Scudellari – in settimana davanti al gip ci sarà l’udienza di convalida del fermo: e davanti al giudice, avranno modo di sostenere le loro ragioni. Nessuna misura ha invece riguardato gli altri due nomi nella lista degli indagati in concorso: si tratta di Antonio Costa, emiliano di 67 anni, e di Davide Alicata, palermitano di 37 anni, cugino di Musca.

«Un gruppo di persone – li aveva definiti la procura motivando il sequestro preventivo d’urgenza dell’hotel – capeggiate e coordinate da Giuseppe Musca» in grado di creare «un sistema articolato di società, tutte riferibili direttamente o indirettamente» al 66enne. Con uno scopo preciso: quello di svuotare, «a proprio vantaggio, il patrimonio delle società che acquisiscono e che poi conducono al fallimento».

Sulla relazione tra parentele e attività economica, il gip Piervittorio Farinella che aveva poi convalidato il sequestro, aveva annotato che la proprietà e la gestione del Grand Hotel Mattei erano passate di recente a una srl controllata dal figlio, anche lui indagato come il padre. Una circostanza che – aveva precisato il giudice – «prova che il progetto di spoliazione e fallimento fosse da tempo predisposto». Inoltre «la gestione dell’azienda alberghiera» da parte degli stessi accusati, potrebbe essere il primo passo per «ulteriori trasferimenti» con «definitiva perdita del patrimonio» destinato al fallimento. Un pericolo di reiterazione del reato insomma, al quale ora – almeno secondo l’accusa – si è aggiunto quello di fuga.