Ravenna, 15 luglio 2010 - Dopo l’omsa se ne va un altro pezzo di storia imprenditoriale faentina. Il tribunale di Ravenna ha infatti depositato ieri in cancelleria la sentenza di fallimento della A.Fa. srl, ovvero la società che il 18 giugno scorso, proprio a questi fini, era subentrata alla ‘Giuseppe Minardi e figlio srl’. A Faenza, Minardi ha significato Fiat per tutto il Novecento. Nata nel 1913, acquisì la rappresentanza Fiat a Faenza e zone collegate nel 1927 e ha mantenuto la concessione fino al 1999. Una società che si era fatta conoscere in tutta Italia, grazie anche alle imprese in Formula Uno.

 

La decisione del tribunale di Ravenna segue di pochissimi giorni l’istanza di autofallimento presentata lunedì e preparata da uno degli studi più conosciuti di Ravenna, quello del commercialista Massimo Lazzari. Curatore fallimentare è stata nominata la commercialista Chiara Ruffini, mentre giudice delegato è per il momento lo stesso presidente del tribunale Bruno Gilotta, in attesa nella nomina del nuovo giudice delegato in sostituzione di Roberto Sereni Lucarelli, in missione a Roma per quasi due anni per gli esami da magistrato.

 

Si diceva della ‘Minardi’ che rappresenta un pezzo importante di storia dell’automobilismo in tutta la provincia e anche oltre. Dal 1927 - ma soprattutto dal dopoguerra al 1999 - il marchio Minardi ha targato oltre 110mila vetture e ventiduemila autocarri. Dell’azienda hanno fatto parte negli anni oltre 400 tecnici. A Faenza la prima officina Minardi-Fiat aprì in viale Oberdan, davanti all’allora parco di piazza D’Armi. Di qui si trasferì, alla fine degli anni Sessanta, in via Galilei e poi, con la dismissione del marchio Fiat, passò in via Sali, o meglio in via Emilia Ponente, quasi di fronte a villa Sirene.

 

Il sodalizio con la Fiat venne sciolto a seguito delle trasformazioni che il mercato stava subendo: era infatti in corso la revisione della ‘block exemption’, ovvero la regolamentazione europea che stabilisce vincoli e comportamenti del commercio dell’auto e le case automobilistiche colsero l’occasione per ristrutturare la filiera distributiva tanto che dal 1996 al 1999 le concessioni Fiat passarono in Italia da 1028 a 779 e oggi non superano le 350 unità. E così la Minardi si trasformò in una ‘azienda distributrice multimarche indipendente’ con acquisti sul grande mercato europeo. Un’attività che ha portato la società faentina a buoni volumi di affari fino a raggiungere i 13 milioni di euro di ricavi nel 2007.

 

La crisi degli ultimi due anni e le vicissitudini giudiziarie e fiscali (40 fra accessi, perquisizioni, controlli) scaturite dalle indagini della Finanza condotte nel 2003 e nel 2004 (che hanno portato Minardi sul banco degli imputati con l’accusa, fermamente respinta, di aver importato auto dal mercato parallelo tedesco evadendo appunto l’Iva) hanno contribuito all’allontanamento della clientela, soprattutto di quei commercianti che faticosamente la Minardi aveva acquisito nel tempo fino a creare una rete di 80 ‘sub dealer’, in pratica veri e propri partners, e al declino commerciale dell’azienda. Il colpo finale è stato dato dai sequestri operati nel giugno scorso da parte di Equitalia e dell’Agenzia delle Entrate, anche se la battaglia contro il fisco, a suon di ricorsi, ha finora registrato un vantaggio per la Minardi.

 

L’Agenzia delle Entrate di Faenza ha contestato alla Minardi evasioni sia all’Iva, sia all’imposta sui redditi sia all’Irap per gli anni 2003 e 2004 in relazione alle risultanze delle indagini della Finanza. Se la Commissione tributaria provinciale ha dato ragione all’Agenzia delle Entrate, la Commissione regionale ha invece accolto i ricorsi di Giuseppe Minardi fissando complessivamente in sei milioni di euro l’imposta dovuta ai fini Iva. La decisione non è definitiva essendo ancora aperto il ricorso in Cassazione.

 

La società faentina occupava nove dipendenti, in cassa integrazione dal due giugno. Il passivo accertato è di tre milioni di euro mentre il blocco dell’attività commerciale dovuto ai sequestri rende impossibile ogni speranza di poter incamerare liquidità: lo stato di insolvenza è pertanto irreversibile e questo ha determinato prima l’istanza e poi la dichiarazione di fallimento.