Pesaro, 22 dicembre 2015 - Edgardo Travaglini, classe 1934, è tra gli ultimi testimoni della incredibile stagione del dopoguerra della Scuola del Libro di Urbino. Oggi, col rimpianto di non riuscire fisicamente a incidere ancora, vuole raccontare alle nuove generazioni la sua esperienza straordinaria accanto a Maestri di grande spessore e nel video pubblicato nel nostro sito narra con la sua viva voce l’esperienza di una vita trascorsa sognando la perfezione del segno.
«Il mio primo impatto con l’arte è stato al Palazzo Ducale di Urbino – racconta –, dove guardavo e non pensavo. Incameravo le immagini del Palazzo senza rendermi conto di quel che accadeva. Ero un giovane che pensava anche ad altre cose, non solo all’arte. Ma così, senza volerlo, ho iniziato ad assimilare delle immagini del Palazzo Ducale, dai classici torricini al cortile e tutte le decorazioni, in particolare i camini, come quello della Jole, degli Angeli, e poi la Porta della Guerra. Pensavo alle botteghe del ’400».
Erano solo decorazioni?
«La simbologia che ornava il Palazzo mi attirava e ho cominciato ad osservare bene queste immagini. Ma le cose si sono sviluppate dopo».
Quando? Come?
«Tenete conto che sono nato nel 1934. A Fano, in via Nolfi. Nel 1952 sono andato a Urbino e ho iniziato a frequentare la Scuola. E’ stato solo nel 1965, dopo dieci anni, che tutto mi è ritornato fuori».
Di chi il merito?
«Sicuramente degli insegnanti che voglio ricordare: Castellani, Carnevali, Ceci, Sanchini. Mi avevano trasmesso il gusto della Scuola del Libro. E così mi buttai sull’incisione».
Chi l’ha influenzata di più?
«Forse Castellani. Non è che mi seguiva. Voleva che facessi un po’ col suo stile tratteggiato. A me però piaceva fare altro. Nel 2004 mi fece visita Carlo Ceci che mi disse: “Guarda non è che quello che dico io è sacro, ma quello che fai, non ha riscontri con altri artisti. Vai per conto tuo”».
Travaglini frequentò la scuola negli anni Cinquanta, il riconoscimento nel 2004 seppur tardivo era quello che si aspettava.
«Tutti gli studenti erano legati alla Scuola, che era il fulcro di tutti i nostri interessi, era un posto dove incontrai persino Anselmo Bucci tra il 1953 e ’54».
Come iniziò a stampare? I torchi erano costosissimi.
«Il mio torchio è nato un po’ in modo anomalo. Non avevo i soldi per comprarlo e allora all’inizio utilizzavo quello dell’amico di scuola Spallacci. Poi grazie a un bravissimo docente dell’Istituto d’arte a Cagli, riuscii a farmene costruire uno. A Cagli c’era la sezione del ferro, erano bravissimi. Col docente andai a casa dell’artista Piacesi. Io parlavo e lui osservava il torchio. Lo guardò così bene che poi lo copiò identico col ferro che gli procurai io».
E così iniziò a stampare da sé.
«Esatto. Avevo il mio torchio. Da allora ho iniziato a incidere, stampare e sviluppare la tecnica del colore, fatta mettendo appositi inchiostri nella medesima matrice».
Chi ricorda con nostalgia tra i docenti?
«Pietro Sanchini ci diceva come impostare i libri, e da lui ho avuto molto. Quando avevamo l’ora dedicata alla storia del costume con Francesco Carnevali, lo ascoltavamo attenti, aveva una voce così particolare che addirittura cambiava nel timbro quando rappresentava, magari, una dama. E poi Renato Bruscaglia è stato un grande insegnante che ci ha dato tantissimo nello studio della figura. Ma alla fine fondamentale fu frequentare la Scuola dentro il Palazzo Ducale di Urbino».
Ed oggi cosa fa?
«L’amore per l’incisione rimane per sempre. Purtroppo per l’età mi sento un po’ in difficoltà».
E così tutti i giorni Edgardo Travaglini torna nel suo studio che si trova a Pesaro, a rivedere le sue opere complesse che sembrano pensato nel ’400 alla Corte di Federico.