Urbino, 18 novembre 2012 - IL MIUR ha reso pubblici i progetti finanziati nell'ambito del Fondo per gli Investimenti della ricerca di base. Tra questi ce n'è uno presentato da Marica Branchesi, 35 anni, astrofisica di Urbino, laureata a Bologna, ma nata e cresciuta nella città ducale. Il suo lavoro, svolto in collaborazione con l'ateneo di Pisa, l'Osservatorio astronomico di Padova e selezionato tra migliaia di candidati, è l'unico a piazzarsi bene nell'ambito dell'astrofisica.
Un risultato «sudato» per la ricercatrice che nella vita ama i viaggi e detesta il cellulare e che da anni ha rapporti anche con la Nasa. In queste ore Marica è in California, da dove racconta il suo successo.
Prima di tutto di quanti soldi si tratta?
«Il progettoha avuto dal Miur quasi un milione di euro (958.490 euro, ndr) che verranno suddivisi tra Urbino, Pisa e Padova. Parte di questo denaro andrà a coprire il mio contratto da ricercatrice a tempo determinato con il Disbef di Urbino (Dipartimento di scienze di base e fondamenti), parte andrà all'ateneo per le spese, e parte servirà per un assegno di ricerca da destinare ad un nuovo collega della "Carlo Bo"».
Come si chiama il lavoro che avete presentato?
«Il titolo è "Nuove prospettive sull'Universo violento: la fisica degli oggetti compatti svelata dalle osservazioni congiunte di onde gravitazionali e radiazione elettromagnetica"».
Traduca per i comuni mortali.
«Studieremo tutta la fisica fondamentale che riguarda le stelle di neutroni e i buchi neri utilizzando sia l'osservazione delle onde elettromagnetiche sia le osservazioni delle onde gravitazionali che nei prossimi anni, con i nuovi strumenti che avremo a disposizione, regaleranno grosse sorprese. E' un progetto multi-messaggero».
Multi... che?
«Multi-messaggero, nel senso che combina insieme diverse informazioni».
Qual è l'obiettivo?
«Questa è scienza di base che ti apre alla conoscenza. Accanto c'è anche tanta innovazione tecnologica che permetterà profonde osservazioni del cielo. Nella prima parte del progetto, che inizierà in primavera, verranno sviluppati nuovi software per le simulazioni e l'analisi delle immagini. Uno scatto in avanti che potrà servire anche in altri settori. Grazie alle osservazioni delle onde gravitazionali potremo comprendere la fisica che governa questi corpi celesti estremamente misteriosi e che nascono dalla morte violenta di stelle molto più massicce del sole».
Veniamo a lei: da Bologna è passata ad Urbino, una realtà più piccola. Perché?
«Perché penso che si possa fare ricerca di alto livello anche da qui. Oggi abbiamo mezzi di comunicazione che ti permettono di collegarti col mondo. In queste ore, per dire, sto preparando un meeting telematico con altri ricercatori».
Dunque, non usa il cellulare ma si serve di altro. Di cosa?
«Ho un telefonino preistorico ma uso spesso Skype».
Cosa le hanno detto colleghi e amici quando ha deciso di essere «un cervello in ritorno»?
«All'inizio è stata dura far comprendere la mia scelta, poi tutti hanno accettato questa mia sfida».
Visti i risultati ottenuti non si sarà pentita.
«No, è bellissimo lavorare in Urbino. Sono a santa Chiara, vicino al Duomo, avere un contesto del genere mi aiuta. Senza contare le persone: la qualità dei rapporti è sicuramente migliore nei centri più piccoli».
Ma è vero che ha scritto tutto sotto la neve di febbraio?
«Sì, è stata una cosa assurda la luce andava e veniva. A proposito che tempo fa in Urbino?».
Freddo, perché?
«Perché se nevica devo esserci, la neve mi ha portato bene».
Come è nato il progetto?
«Da anni di studio e dall'incontro con gli altri due ricercatori, Massimiliano Razzano e Michela Mapelli».
E di fare l'astrofisica quando l'ha deciso?
«Dopo il liceo scientifico le facoltà mi piacevano tutte, sono molto curiosa. Poi però ho preferito assecondare la mia grande passione: l'astronomia».
Sul suo profilo Facebook ha detto di essersi anche divertita. Come, vista la serietà dell'argomento?
«E' stato divertente tradurre il testo in italiano. Solitamente queste cose si scrivono in inglese, mentre stavolta, forse perché il finanziamento era aperto anche alle materie umanistiche, abbiamo dovuto presentare due copie. In inglese con una parola dici tutto. L'italiano invece è più prolisso, non c'era modo di far stare tutto nello stesse di pagine».
Che cosa pensa quando sente l'espressione cult cervelli in fuga?
«Dico che andare all'estero va bene quando è una scelta. Capita però che per un ricercatore diventi necessario. Negli altri Paesi ci sono più soldi e arrivano prima».
Le è mai venuto in mente di andarsene?
«Per ora ad Urbino mi trovo bene. Collaboriamo con centri di eccellenza in Europa e nel mondo (California Institute of technology, Mit, Nasa, University of Western Australia) e c'è una profonda esperienza nel campo gravitazionale».
di Emanuele Maffei
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