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Frassinoro (Modena), 9 dicembre 2014 - «Vado a Modena e a Firenze a concludere un’operazione immobiliare e restituisco i soldi». Sono le parole, intercettate, della vittima di origine modenese (precisamente di Piandelagotti) di una delle estorsioni contestate all’associazione per delinquere finalizzata ad accaparrarsi gli appalti della capitale smascherata a Roma dai carabinieri. Nell’inchiesta ribattezzata appunto ‘Mafia capitale’ compare il nome di un ex bancario 61enne Riccardo M. (detto il nano) nato in appennino ma da una trentina d’anni residente a Roma. Nell’ordinanza del giudice che ha arrestato, tra gli altri, l’ex terrorista dei Nar Massimo Carminati, Riccardo M. viene definito «l’imprenditore vittima».
I guai per il modenese (che non è indagato) riguardano un grosso debito con uno degli arrestati, Giovanni Lacopo, che tramite il figlio ingaggia Matteo Calvio (anche lui in manette) che, dietro compenso, aveva il ruolo di vigilare sugli spostamente del 61enne e di fare da tramite per riavere la somma: «Allora il 10 mi paghi, il 10 mattina, sennò t’ammazzo, te e tutti i tuoi figli».
«Mi hanno massacrato ieri sera (...) mi hanno picchiato in via Cola. Avevi detto che non mi toccavano (...) tu hai detto che non mi toccavano», registrano gli investigatori intercettando una telefonata tra il modenese e Lacopo. «M’hanno rotto le costole anche, in mezzo alla gente». La somma alla fine, sarebbe stata saldata e nelle intercettazioni il modenese con precedenti per truffa assicura: «Perché, cioè è inutile che io mi sposti, vado su a Firenze, a Modena per sistemare le cose...».
«Il modenese – scrive il Gip che ha arrestato Carminati e compagnia – assicurava che si stava adoperando in ogni modo, recandosi in continuazione a Firenze e a Modena, per concludere un’operazione immobiliare che gli avrebbe permesso di recuperare denaro a sufficienza per saldare il debito con Giovanni Lacopo». A far data dal 24 aprile 2013 sino al 3 dicembre 2013 - e, dunque, nell’arco di circa otto mesi - è stato captato un grappolo di quattordici conversazioni che consente di ritenere che sia stata posta in essere un’attività estorsiva nei confronti dell’imprenditore modense per consentire al creditore Giovanni Lacopo di riscuotere la somma di 180.000 euro.
«NON ce la faccio più... a subire minacce, queste cose qua. Ci riesci? Però tu puoi, puoi metterci una parola buona...», chiedeva il modenese al figlio del suo creditore. Le minacce lo indussero a chiedere aiuto anche a altro uomo ma la mossa non fu gradita dal boss Carminati. Le azioni intimidatorie, operate nei confronti del 61enne, a tutela dell’ingente credito vantato da Lacopo, avevano infatti, benché indirettamente, esposto l’intero sodalizio a un grave rischio.