Imola, 22 agosto2015 - Abile, astuto e pervicace. Per di più, spregiudicato. E’ impietoso il quadro dipinto dal giudice Francesca Zavaglia nell’ordinanza d’interdizione dall’incarico, per un anno, del primario di Radiologia Guido Ferrari. L’inchiesta del pm Claudio Santangelo e del Nas, nata nel 2012 da un’ispezione interna della direttrice dell’Ausl Maria Lazzarato che aveva ricevuto una segnalazione anonima, lo accusa di peculato, falso, concussione e truffa: tra il 2003 e il 2012 avrebbe messo in piedi una rodata attività in cliniche private, pur lavorando con vincolo di esclusiva per l’Ausl di Imola. E per farlo utilizzava risorse e personale dell’azienda sanitaria, interi turni di lavoro – come emerso dalle dichiarazioni dei collaboratori – impegnati per refertare gli esami condotti dal primario lontano dal Santerno (con lui, a vario titolo, sono indagate altre sette persone). Prestazioni di libera professione che secondo l’accusa Ferrari si sarebbe fatto pagare secondo diverse modalità, anche tramite contratti di consulenza che le cliniche private intestavano ai genitori ultraottantenni del medico (c’è anche una consulenza per decorazioni d’interni) e a suoi giovanissimi parenti, ma i cui compensi venivano poi riscossi in banca tramite assegni ‘girati’ dal primario.
Ma perché un’inchiesta del 2012 che, all’epoca, divenne di dominio pubblico dopo la notifica dell’avviso di garanzia a Ferrari e le perquisizioni in ospedale, arriva adesso a una misura cautelare così estrema nei confronti del primario? Perché secondo il giudice l’attività illegale di Ferrari che gestiva il reparto «come una sorta di studio professionale privato», «creando così un vero e proprio sistema clientelare», non si è mai arrestata. Ha solo «rinnovato le sue modalità», spianando anche la strada a un nuovo filone d’indagine, stavolta per gli anni 2013-2015. Infatti, allentata la presa sulle cliniche private finite sotto la lente della magistratura, la tesi degli inquirenti è che Ferrari si sia fin troppo concentrato sulla sua attività intramoenia, ossia sulla libera professione consentita dalla legge in ospedale. Un’attività che deve avvenire in orari precisi, prima o dopo il turno di lavoro, ma che, prima secondo i controlli dell’Ausl e poi del Nas, è stata fatta in orari diversi, danneggiando «l’attività istituzionale dell’intero staff». L’Ausl aveva rilevato infatti da settembre 2013 «un graduale e rilevante incremento dell’attività libero professionale svolta individualmente da Ferrari»: da solo era arrivato a eseguire il 90% delle prestazioni. Ma come i controlli a campione avrebbero evidenziato, fuori dagli orari previsti. Una sproporzione fra l’attività pubblica e quella privata che emerge anche dai Cud del oprimario, che «riportano somme percepite per l’attività libero professionale assai più ingenti di quelle percepite per quella pubblica, nonostante la ridotta fascia oraria alle prime riservata».
Numeri, questi, che il Carlino pubblicò più volte insieme con i redditi di Ferrari quand’era consigliere Pd. Ad esempio, il primario, che dichiarava somme imponibili intorno al mezzo milione di euro, nel 2009 percepì di 240mila euro dall’Ausl: 132mila euro di normale stipendio da primario e 108mila per prestazioni assimilate alla libera professione. Il resto era libera professione.